PIANO B 4.0 | 10.2 Carbone: il principio del declino


Negli ultimi due anni si è diffuso un potente movimento d’opposizione alla costruzione di nuove centrali a carbone negli Stati Uniti. Inizialmente guidato da gruppi ambientalisti nazionali e locali, è stato poi affiancato da leader politici nazionali di primo piano e dai Governatori di molti stati. Il principale motivo per opporsi agli impianti di carbone è che stanno cambiando il clima della Terra. Vi sono poi gli effetti sulla salute derivanti dalle emissioni di numerosi inquinanti, tra i quali il mercurio, e le 23.600 morti che solo negli Stati Uniti sono ogni anno riferibili all’inquinamento dell’aria causato dalle centrali.25

Negli ultimi anni l’industria del carbone ha subito una sconfitta dopo l’altra. Il Sierra Club afferma che dei 229 impianti di cui è stata proposta la costruzione dal 2000 46 sono stati effettivamente realizzati, 101 sono stati bocciati, altri 59 stanno affrontando un’opposizione in tribunale e solo 23 hanno qualche chance di ottenere i permessi necessari di costruzione ed essere infine allacciati alla rete. Costruire una centrale a carbone potrebbe presto diventare impossibile.26

Quella che era cominciata come una piccola increspatura è diventata un’imponente ondata di opposizione sostenuta dalle organizzazioni ambientali e da quelle per la salute. In un sondaggio condotto su scala nazionale da Opinion Research Corporation. che chiedeva quale fosse la fonte di energia preferita, solo il 3% ha scelto il carbone. Nonostante una pesante campagna pubblicitaria a favore del cosiddetto “carbone pulito”, che ricorda in qualche modo i primi sforzi compiuti dalle case produttrici di tabacco per convincere i consumatori che le sigarette non erano dannose per la salute, l’opinione pubblica è sempre più contraria.27

Una delle peggiori sconfitte dell’industria del carbone si è verificata all’inizio del 2007, quando un imponente movimento si è schierato conto la società  Texana TXU. Una coalizione guidata dall’Enviromental Defence Fund (EDF) ha condotto una massiccia campagna di stampa contro la realizzazione di 11 nuove centrali a carbone. Il crollo nelle quotazioni delle azioni della TXU, causato dal clamore mediatico, ha portato a un’offerta pubblica d’acquisto per 45 miliardi di dollari da parte di due società , la Kohlberg Kravis Roberts e la Company and Texas Pacific Group.

Le aziende hanno potuto procedere all’acquisto solo dopo aver negoziato un accordo con la Natural Resources Defense Council e l’EDF, e dopo aver ridotto da 11 a 3 il numero degli impianti proposti. è stata una grande vittoria per la comunità  ambientalista, che è riuscita a raccogliere un supporto da parte dell’opinione pubblica sufficiente a fermare immediatamente otto impianti e a imporre regolamentazioni più stringenti sui restanti tre. Nel frattempo, il Texas si è concentrato sullo sfruttamento delle sue risorse di energia eolica, e ciò gli ha consentito di sopravanzare la California in termini di energia elettrica prodotta da fonte eolica.28

Nel maggio 2007, la Public Service Commission dello stato della Florida, ha rifiutato l’autorizzazione per la costruzione di una centrale a carbone da 1.960 megawatt e da 5,7 miliardi di dollari, poiché l’azienda elettrica non è stata in grado di provare che la costruzione dell’impianto sarebbe stata economicamente vantaggiosa rispetto all’investire nell’efficienza energetica e nelle fonti di energia rinnovabile. Questo precedente, reso possibile da Earthjustice, un gruppo legale ambientalista non profit, e da un’opinione pubblica dichiaratamente contraria a qualsiasi nuova centrale a carbone in Florida, ha avuto come conseguenza anche il ritiro dei progetti per la costruzione di altre quattro centrali a carbone nello stato.

Il futuro del carbone è sempre più incerto, anche perché Wall Street ha voltato le spalle alle industrie del settore. Nel luglio 2007, la Citicorp ha abbassato le sue stime su tutte le industrie del carbone quotate e ha raccomandato ai suoi clienti di spostare i propri investimenti verso altri settori energetici. Nel gennaio 2008 Merrill Lynch ha declassato le azioni del carbone. Un mese dopo, le banche d’affari Morgan Stanley, Citi e J.P. Morgan Chase hanno annunciato che, per ottenere prestiti per la costruzione delle centrali a carbone, le compagnie avrebbero dovuto dimostrare che gli impianti avrebbero prodotto profitti anche con i costi più alti derivanti dalle future restrizioni ambientali federali sulle emissioni di CO2.

Più tardi anche Bank of America ha annunciato che avrebbe seguito lo stesso approccio.30

Nell’agosto 2007, la lobby del carbone ha subito un altro colpo quando il capogruppo di maggioranza del Senato, il senatore Harry Raid, del Nevada, che già  si era opposto alla realizzazione di tre nuove centrali nel suo stato, ha dichiarato che le avrebbe combattute dappertutto nel mondo. L’ex vicepresidente Al Gore ha dato voce a una forte opposizione contro questi impianti, e lo stesso hanno fatto anche molti governatori, fra cui quelli della California, della Florida, del Michigan, di Washington e del Wisconsin.31
Nel suo discorso sullo stato dello Stato del 2009, la governatrice, Jennifer Granholm, ha affermato che il Michigan non dovrebbe importare carbone dal Montana e dal Wyoming, ma dovrebbe piuttosto investire in tecnologie che aumentino l’efficienza energetica e sfruttare le risorse rinnovabili, cose che creerebbero migliaia di posti di lavoro, aiutando a recuperare quelli persi nel settore automobilistico.32

Nel dicembre del 2008 l’industria del carbone ha subito un’altra sconfitta. Oltre alle ingenti emissioni di CO2, la combustione del carbone produce grandi quantità  di ceneri tossiche, che si stanno accumulando in 194 discariche e in 161 bacini di raccolta in 47 stati. Queste ceneri sono difficili da smaltire perché sono cariche di arsenico, piombo, mercurio e di molte altre sostanze tossiche. Pochi giorni prima del Natale 2008, il crollo di un muro di contenimento in un bacino di raccolta delle ceneri di carbone nel Tennessee orientale causò il rilascio di quasi 4 miliardi di litri di liquami tossici, e sollevò il velo sul segreto più sporco dell’industria del carbone.33

Sfortunatamente, l’industria del carbone non ha un piano per smaltire in modo sicuro i 130 milioni di tonnellate di ceneri prodotte ogni anno, sufficienti a riempire un milione di vagoni ferroviari. I rischi sono così alti che il Department of Homeland Security ha cercato di inserire 44 dei siti di stoccaggio più vulnerabili su una lista segreta, per evitare che possano essere attaccati dai terroristi.34

Nell’aprile 2009 il capo della potente Federal Energy Regulatory Commission degli Stati Uniti, Iohn Wellinghoff, ha osservato che gli Stati Uniti non hanno alcun bisogno di nuove centrali a carbone o nucleari.

I decisori, le banche d’investimento e i leader politici stanno cominciando a vedere quello che da parecchio tempo era evidente ai climatologi come James Hansen, che afferma che non ha senso costruire impianti a carbone quando invece dovremmo demolirli al più presto.35

Nell’aprile 2007, la Suprema Corte degli USA ha deciso che l’EPA (Enviromental Protecion Agency), l’Agenzia per l’Ambiente degli Stati Uniti, è obbligata a regolare le emissioni di CO2 sulla base del Clean Air Act. In base a questa storica decisione, nel novembre 2008 l’Environmental Appeals Board dell’EPA ha concluso che gli uffici regionali dell’EPA devono definire i limiti di emissione della CO2 prima di rilasciare permessi per la costruzione di nuovi impianti a carbone. Questo non solo ha bloccato la costruzione dell’impianto per il quale era nata la questione, ma ha anche stabilito un precedente, bloccando l’iter autorizzativo di altri casi simili nel resto degli Stati Uniti. Agendo sulla base della stessa decisione della Corte Suprema, nel marzo 2009 l’EPA ha presentato un’analisi dei rischi alla Casa Bianca, confermando che le emissioni di CO2 minacciano la salute umana e il benessere sociale e devono pertanto essere regolamentate, ponendo così un’ulteriore ipoteca su tutte le nuove centrali a carbone.36

La conclusione è che negli Stati Uniti vige ora una moratoria de facto sulla realizzazione di nuove centrali elettriche a carbone. Ciò ha portato il Sierra Club, il soggetto più attivo sulla questione, a estendere la sua campagna per la riduzione delle emissioni di CO2 affinché venga presa in analisi anche la chiusura delle centrali esistenti. 37

Dato l’enorme potenziale per la riduzione dei consumi elettrici negli Stati Uniti, come illustrato nel capitolo 4, ciò potrebbe essere molto più facile di quanto sembri. Se tutti gli stati americani fossero efficienti come quello di New York, il risparmio che ne deriverebbe sarebbe sufficiente a chiudere l’80% delle centrali a carbone. I pochi impianti rimasti potrebbero essere sostituiti con il passaggio alle energie rinnovabili: campi eolici, centrali solari termiche, pannelli fotovoltaici sui tetti e impianti geotermici.38

I dati parlano chiaro. Nel 2008 sono state realizzate solo cinque piccole centrali a carbone la cui costruzione era stata pianificata molti anni fa, che hanno aggiunto solo 1.400 megawatt di capacità  produttiva termoelettrica. Nello stesso anno, sono stati connessi alla rete quasi 100 parchi eolici, per un totale di 8.400 megawatt di capacità  produttiva.39

Questa moratoria de facto è un messaggio per il resto del mondo. La Danimarca e la Nuova Zelanda hanno già  proibito nuove centrali a carbone. Altri paesi si uniranno probabilmente a questo sforzo. Perfino la Cina, che stava costruendo una nuova centrale alla settimana, sta vertiginosamente aumentando il suo impegno nelle energie rinnovabili e supererà  presto gli Stati Uniti nella produzione di energia elettrica di origine eolica. Questi e altri sviluppi suggeriscono che l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 dell’80% entro il 2020 potrebbe essere più raggiungibile di quanto si creda.40

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