In un’epoca in cui il mondo fatica a dare da mangiare a tutti i suoi abitanti, gli agricoltori si trovano a dover affrontare situazioni piuttosto difficili. Nel mercato alimentare, sul versante della domanda sono in atto tre processi che vanno nella direzione di un balzo dei consumi: la crescita demografica, l’aumento dell’uso di proteine animali derivate dall’impiego di mangimi a base di cereali e, in tempi recentissimi, il loro utilizzo anche per la produzione di carburanti per autotrazione.
Sul lato dell’offerta sono in atto numerosi fenomeni ambientali che rendono sempre più difficile incrementare in maniera sufficientemente rapida la produzione alimentare. Tra i fattori principali troviamo l’erosione dei suoli, l’esaurimento delle falde acquifere, ondate anomale di calore che riducono la produttività delle colture, la fusione delle calotte polari con conseguente innalzamento dei mari e lo scioglimento dei ghiacciai dai quali dipendono le grandi reti fluviali e i sistemi irrigui. Inoltre tra le tendenze attuali ve ne sono tre che hanno conseguenze sulla capacità di approvvigionamento alimentare: l’uso di terreno agricolo a scopi edilizi, industriali, residenziali, lo sfruttamento delle riserve idriche per l’approvvigionamento urbano piuttosto che per l’agricoltura, e l’imminente riduzione della disponibilità di petrolio.
Il fenomeno che desta maggiore preoccupazione è la crescita demografica. Ogni anno 79 milioni di persone in più si siedono alla nostra tavola. Sfortunatamente, la stragrande maggioranza di queste, nasce in paesi dove è compromessa la fertilità dei suoli, le falde acquifere sono in via di esaurimento e i pozzi per l’irrigazione si stanno prosciugando. Se non riusciremo a frenare la crescita demografica, potremmo non riuscire a sconfiggere la fame.5
Allo stesso tempo, mentre la popolazione aumenta, circa 3 miliardi di persone lottano per ascendere la catena alimentare, consumando maggiori quantità di carni di animali nutriti da mangimi basati sui cereali. In cima alla catena alimentare spiccano gli Stati Uniti e il Canada, dove ogni abitante consuma una media di 800 kg di cereali l’anno, prevalentemente per via indiretta sotto forma di carne bovina, suina e ovina, latte e uova. Al fondo della catena troviamo l’India, dove vi è un consumo di cereali di meno 200 kg l’anno pro capite, dei quali la maggior parte in forma diretta, mentre solo una parte trascurabile sono convertiti in proteina animale.6
Come se non bastasse, ci sono nel mondo i proprietari di 910 milioni di automobili: tutti vogliono mantenere il proprio livello di mobilità attuale e pochissimi sono interessati a sapere se il carburante che consumano proviene da un pozzo petrolifero o da un campo di mais. La corsa agli investimenti nelle raffinerie di bioetanolo che ha seguito l’aumento dei prezzi della benzina (fino a circa 80 centesimi di dollaro al litro) negli Stati Uniti nel 2005, in conseguenza dell’uragano Katrina, ha provocato un aumento nella domanda globale di mais da circa 20 milioni di tonnellate l’anno, a più di 40 milioni sia nel 2007 che nel 2008, in una competizione epocale per il consumo di cereali tra macchine ed esseri umani.7
Guardando alle sfide dal lato dell’offerta, l’erosione dei suoli sta attualmente intaccando la produttività di circa il 30% delle terre coltivabili. In alcuni paesi, come il Lesotho o la Mongolia, la perdita di suolo è arrivata a dimezzare la produzione di cereali nell’arco di trent’anni. In Kazakistan, il luogo scelto mezzo secolo fa per il progetto sovietico delle Terre Vergini (Soviet Virgin Lands), il 40% dei campi è stato abbandonato a partire dal 1980. Le gigantesche tempeste di polvere che prendono origine dall’Africa subsahariana, dal nord della Cina, dalla Mongolia occidentale e dall’Asia Centrale testimoniano che sono sempre più numerose le aree del pianeta che stanno perdendo la componente organica del suolo.8
Mentre il fenomeno della riduzione dello strato superficiale di terreno produttivo è nato con le prime coltivazioni di grano e orzo, il trend dell’abbassamento delle falde acquifere è storicamente recente, dato che la tecnologia necessaria a pompare acqua dal sottosuolo ha appena qualche decennio. La conseguenza è il calo di livello delle falde idriche in paesi che, sommati insieme, ospitano la metà della popolazione mondiale. I pozzi si seccano mano a mano che gli acquiferi si esauriscono laddove si diffonde l’usanza di pompare acqua di falda in quantità eccessiva. L’Arabia Saudita ha comunicato che si sta prosciugando la propria falda acquifera principale di origine fossile e che pertanto il paese cesserà completamente la produzione di grano entro il 2016. Uno studio della Banca Mondiale dimostra che 175 milioni di persone in India sono nutrite grazie a falde sovrasfruttate, mentre per la Cina si parla di altri 130 milioni di persone.9
Anche i cambiamenti climatici minacciano la sicurezza alimentare. Da un certo punto in poi, l’aumento delle temperature rappresenta un problema per la produzione agricola. Ogni aumento di 1 grado Celsius durante la stagione vegetativa, può significare per i coltivatori una diminuzione del 10% dei raccolti di grano, riso e mais. Dal 1970 ad oggi, la temperatura superficiale media del pianeta è aumentata di 0,6 ºC. L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) prevede che la temperatura aumenterà di 6 ºC nell’arco di questo secolo.10
Al crescere della temperatura, i ghiacciai montani stanno fondendo in tutte le località del mondo. Il continente più colpito è l’Asia, poiché sono i ghiacciai della catena himalayana e dell’altopiano tibetano a rifornire d’acqua i grandi fiumi che attraversano India e Cina e dai quali sono alimentati i sistemi di irrigazione durante la stagione secca. In Asia, i campi di riso e di frumento dipendono da questi corsi fluviali. La Cina è il più grande produttore al mondo di frumento. L’India è il secondo. (Al terzo posto ci sono gli Stati Uniti). Gli stessi due paesi vantano i più grandi raccolti al mondo di riso. Qualunque cosa succeda alle produzioni di questa coppia di giganti demografici influenzerà il prezzo degli alimenti in tutto il mondo. Anzi, la prevista fusione dei ghiacciai da cui dipendono questi due paesi è probabilmente il più grave pericolo per la sicurezza alimentare mai affrontato dall’umanità .11
Le ultime informazioni disponibili sull’aumento del ritmo di fusione delle calotte polari in Groenlandia e nell’Antartico occidentale ci dicono che lo scioglimento dei ghiacci, in combinazione con l’espansione termica degli oceani, potrebbero far salire il livello del mare di quasi due metri nell’arco di questo secolo. Tutti i delta fluviali dell’Asia, zone di coltivazione del riso, sono minacciati dalla fusione delle calotte. Basterebbe un innalzamento di un metro per distruggere le risaie del delta del Mekong, corrispondente a più della metà del raccolto del riso vietnamita, che ne è il secondo esportatore al mondo. Una mappa elaborata dalla Banca Mondiale mostra che l’innalzamento dei mari di un metro inonderebbe la metà delle terre coltivate a riso in Bangladesh, dove abitano 160 milioni di persone. Il destino di centinaia di milioni di individui che dipendono dai raccolti delle risaie poste nei delta fluviali e nelle pianure alluvionali del continente asiatico è legato a doppio filo al destino delle due grandi calotte polari.12
Dopo la Seconda guerra mondiale, all’aumentare della richiesta di fonti di cibo, il mondo ha guardato agli oceani per rifornirsi di proteine animali. Dal 1950 al 1996 il pescato mondiale è passato da 19 milioni a 94 milioni di tonnellate annue. Ma da allora questa crescita ha subito una battuta di arresto. Siamo giunti al limite prima sul mare che sulla terra: dal 1996 in poi, se la fornitura di pesce, molluschi e crostacei è aumentata, è stato possibile grazie agli allevamenti, la cui crescente richiesta di mangimi, la maggior parte dei quali a base di soia e cereali, necessita di ulteriori risorse in termini di terre coltivabili e acqua.13
I deserti avanzano (a causa dello sfruttamento eccessivo delle terre per la pastorizia, dell’aratura troppo aggressiva e della deforestazione) e stringono d’assedio le terre coltivate nell’Africa sahariana, nel Medio Oriente, in Asia Centrale e in Cina. L’espansione dei deserti nel nord e nell’ovest della Cina ha costretto la popolazione ad abbandonare, completamente o in parte, oltre 24 mila villaggi con i relativi terreni. In Africa, il Sahara si estende verso sud, invadendo i campi della Nigeria, e verso nord, dove accerchia le zone di produzione del frumento dell’Algeria e del Marocco.14
I contadini stanno perdendo le terre e l’acqua, che vengono invece destinate ad altri usi. La cementificazione è particolarmente allarmante in Cina, in India e negli Stati Uniti. La Cina, con i suoi imponenti progetti industriali ed edilizi, sta asfaltando centinaia di strade, autostrade e parcheggi per accogliere un parco macchine sempre più numeroso ed è forse lo stato in cui è più forte la perdita di terreno coltivabile. Negli Stati Uniti, l’espansione diffusa delle periferie (sprawl) copre vaste aree di quelli che un tempo erano terreni agricoli.
Dato che in molti paesi non è possibile ottenere ulteriori approvvigionamenti idrici, per soddisfarne la richiesta da parte delle città , viene sottratta acqua all’irrigazione. Migliaia di contadini della riarsa California trovano più conveniente cedere l’acqua alle metropoli di Los Angeles e San Diego piuttosto che destinarla agli usi irrigui, lasciando così le terre incolte. In India, i villaggi vendono l’acqua dei pozzi di irrigazione alle città vicine. Anche i contadini cinesi perdono i diritti di sfruttamento dell’acqua, che va a soddisfare le esigenze urbane.15
Sullo sfondo, poi, si staglia la prospettiva di una riduzione nell’uso del petrolio e degli idrocarburi, a causa o di un calo di produzione o degli impegni internazionali volti a ridurre le emissioni di anidride carbonica (o, più probabilmente, da una qualche combinazione delle due cose). Se i raccolti di grano sono triplicati negli ultimi cinquant’anni, questo è stato possibile anche grazie al petrolio che pervade l’economia agricola essendo impiegato per arare, irrigare e raccogliere. Al calare delle forniture, gli stati entreranno in competizione per l’accesso alle riserve petrolifere pur di mantenere l’attuale livello di produzione agricola. Non è stato in effetti molto difficile aumentare la produzione mondiale di cibo fintanto che il petrolio è stato abbondante e relativamente economico. Sarà molto più difficile farlo quando ne aumenterà il costo e ne diminuirà la disponibilità .16
Nonostante il bisogno crescente di nuove soluzioni per incrementare la produzione, non esistono molte nuove tecniche agricole da implementare. Nei paesi agricoli avanzati, i contadini stanno facendo uso di ogni tecnologia conosciuta per ottimizzare la produttività delle terre. Intanto, non sembra che i ricercatori stiano trovando molti modi nuovi di aumentare i raccolti. In Giappone, la prima nazione a realizzare in passato un significativo aumento nella produttività dei cereali per ettaro, la produttività del riso sostanzialmente è ferma da circa 14 anni. In Cina, la rapida impennata del rendimento delle risaie è ormai parte della storia. In Francia come in Egitto, i tassi di rendimento agricolo del grano, tra i più alti del mondo, sono in stallo da circa un decennio. Globalmente, il tasso di aumento nel rendimento delle terre coltivate a cereali è sceso dal 2,1% annuo del periodo 1950-1990 a un 1,3% nel periodo 1990-2008.17
Alcuni analisti suggeriscono che le coltivazioni di organismi geneticamente modificati potrebbero essere la soluzione al problema. Sfortunatamente, nessun nuovo prodotto di questo tipo ha dato risultati tali da far ritenere che si possano aumentare significativamente i raccolti. E non è probabile che accada in futuro: le tecniche tradizionali di selezione genetica hanno già sfruttato praticamente tutto il potenziale genetico esistente per accrescere la produttività di una specie.18
Non resta che concludere che il progresso scientifico in agricoltura trova sempre più difficile migliorarne il rendimento, dato che con le tecnologie già disponibili ci stiamo ormai avvicinando a quelli che sono i limiti intrinseci all’efficienza della fotosintesi. è un limite, questo, che stabilisce il confine della produttività biologica del pianeta e, di conseguenza, la capacità del pianeta di sostenere la popolazione umana.19
Mano a mano che contadini di tutto il mondo tentano di aumentare i raccolti, i fattori che condizionano negativamente la produzione controbilanciano in parte i progressi tecnici raggiunti. La domanda è quindi: i danni ambientali all’agricoltura globale potrebbero a un certo punto annullare i progressi dell’avanzamento tecnologico, come è già successo in Arabia Saudita e nello Yemen, a causa della scarsità idrica, o come in Lesotho e in Mongolia, per l’erosione del suolo?20
Il quesito da porsi, per il momento, non è se la produzione globale di cereali continuerà ad aumentare, ma se potrà farlo abbastanza in fretta da soddisfare una domanda costantemente in crescita. Non è più possibile andare avanti come se nulla stesse cambiando. I livelli di sicurezza alimentare sono destinati a peggiorare, a meno che stati e popoli non si mobilitino per stabilizzare la popolazione, il clima, le falde idriche, preservare i terreni, proteggere i campi e limitare la destinazione dei cereali alla produzione di biocarburanti.