Fin dalla nascita dell’agricoltura migliaia di anni fa, le pratiche colturali si sono evolute in modo da massimizzare i raccolti in un regime climatico relativamente stabile, ma oggi la situazione sta cambiando. Dal momento che le coltivazioni crescono solitamente a una temperatura molto vicina al proprio optimum termico, anche un aumento relativamente piccolo di uno o due gradi centigradi, nella stagione vegetativa, può provocare una riduzione significativa del raccolto di cereali nelle regioni in cui avviene gran parte della produzione alimentare, quali la pianura settentrionale cinese, la piana del Gange in India e la fascia del grano (Corn Belt) statunitense.65
Le temperature elevate possono interrompere la fotosintesi, inibire l’impollinazione e portare alla disidratazione delle colture. Anche se le elevate concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, responsabili dell’incremento termico, hanno come effetto anche quello di incrementare la resa dei raccolti, nel caso delle principali colture l’effetto dannoso delle temperature elevate oltre un certo punto sovrasta quello positivo della fertilizzazione da CO2.
Due ricercatori indiani, K. S. Kavi Kumar e Jyoti Parikh, hanno calcolato le conseguenze dell’aumento delle temperature sui campi di frumento e riso. Basandosi sui dati provenienti da dieci siti produttivi, hanno concluso che nell’India settentrionale l’aumento medio di 1 °C non ha ridotto in maniera significativa il raccolto di frumento, ma laddove questo aumento sia stato di 2 °C ne è derivato un calo di resa in quasi tutti i siti presi in esame. Limitandosi ad analizzare la variazione di temperatura, l’aumento di 2 °C provocherebbe un calo dal 37 al 58% nel raccolto di frumento proveniente da campi irrigati. Unendo poi gli effetti negativi dell’aumento della temperatura e gli effetti positivi della fertilizzazione da CO2, il calo della produzione nei vari siti colturali si attesterebbe tra l’8 e il 38%. L’innalzamento delle temperature è quindi una prospettiva preoccupante per un paese che prevede una crescita di 400 milioni di abitanti entro la metà del secolo.66
In uno studio sulla sostenibilità degli ecosistemi locali, Mohan Wali e i suoi colleghi della Ohio State University hanno notato che con l’aumento della temperatura, l’attività fotosintetica tende a incrementare fino a quando si raggiungono i 20 °C, per poi rimanere stabile fino ai 35 °C e successivamente iniziare a ridursi e fermarsi completamente al raggiungimento dei 40 °C.67
Negli ultimi anni, gli agronomi di diversi paesi si sono concentrati sulla puntuale relazione che lega la temperatura e i raccolti. Uno degli studi più completi è stato condotto dall’International Rice Research Institute (IRRI) delle Filippine. Un team di agronomi di alto livello, con l’ausilio dei dati del raccolto relativo ai lotti di una coltura sperimentale di riso irrigato, ha confermato la regola empirica emergente tra gli agronomi: l’innalzamento sopra la media termica di un grado Celsius causa una riduzione del 10% nei raccolti di frumento, riso e mais. La rilevazione dell’IRRI concorda con altri recenti progetti di ricerca. Si è quindi concluso che “l’aumento della temperatura legato al surriscaldamento globale renderà sempre più difficile nutrire la popolazione in crescita del pianeta”.68
Il periodo più delicato del ciclo vitale delle piante è quello dell’impollinazione. Tra le tre principali colture alimentari di base del mondo, il riso, il grano e il mais, quest’ultimo è particolarmente vulnerabile. Per la riproduzione del mais, il polline deve cadere dalle barbe sui filamenti che emergono dalla fine di ogni chicco. Ognuno di questi fili è attaccato al sito di un seme posto sulla pannocchia. Il seme si sviluppa quando un granello di polline scivola lungo il filamento e quindi migra verso questo sito. Quando le temperature sono troppo elevate, i filamenti si essiccano troppo velocemente, diventando marroni, e non sono in grado di effettuare la loro parte nel processo di fecondazione.
Gli effetti della temperatura sull’impollinazione del riso sono stati studiati in dettaglio nelle Filippine. I ricercatori affermano che l’impollinazione passa dal 100% a 34 °C a una percentuale prossima allo zero a 40 °C, causando la perdita della coltura.69
Le elevate temperature provocano anche la disidratazione delle piante. Quando le foglie del mais si arricciano per ridurre l’esposizione al sole, anche la fotosintesi diminuisce. E quando gli stomi sul lato inferiore delle foglie si chiudono per limitare le perdite d’acqua, si riduce anche l’assorbimento di CO2, riducendo la normale funzione fotosintetica. Il mais, che in condizioni ideali è straordinariamente produttivo, a temperature elevate va incontro a uno shock termico. Moltissimi modelli climatici mondiali dimostrano che all’aumentare della temperatura, alcune parti del mondo diventeranno più esposte alla siccità . Gli Stati Uniti sud-occidentali e la regione africana del Sahel sono due delle zone dove il calore, unito alla siccità , possono rivelarsi letali. Il Sahel è una vasta regione simile alla savana che si estende attraversando l’Africa, dalla Mauritania e dal Senegal a ovest, fino al Sudan, all’Etiopia e alla Somalia a est, e risente già delle elevate temperature e delle disastrose siccità che si abbattono periodicamente in questa zona, dato che l’abituale scarsa piovosità va riducendosi ulteriormente.70
La diminuzione delle piogge e l’aumento della temperatura sono una minaccia per la sopravvivenza di milioni di persone che popolano questa regione. Per loro il tempo sta per scadere. Cary Fowler, direttore del Global Crop Diversity Trust, afferma: “Se aspettiamo che sia troppo caldo per coltivare il granoturco nel Ciad e nel Mali, allora sarà troppo tardi per evitare un disastro che senz’ombra di dubbio potrebbe destabilizzare più che un’intera regione”.71