PIANO B 4.0 | 5.4 Energia dalle biomasse


Via via che le riserve di petrolio e gas naturale si esauriscono cresce l’attenzione anche per le fonti di energia da biomassa. Queste includono, oltre alle coltivazioni destinate a produrre energia discusse nel capitolo 2, i sottoprodotti dell’industria del legno, di quella dello zucchero, i rifiuti urbani e d’allevamento, le piantagioni di alberi a rapido accrescimento, i residui dell’agricoltura, della potatura e della manutenzione dei parchi urbani, ognuno dei quali può essere usato per generare elettricità , riscaldare o produrre carburanti per veicoli.

L’uso potenziale della biomassa per la produzione di energia è limitato dato che perfino il mais, il più efficiente tra le coltivazioni cerealicole, può convertire solamente lo 0,5% dell’energia solare in forma utilizzabile. Al contrario, gli impianti fotovoltaici o i termocollettori sono in grado di trasformare circa il 15% della radiazione solare in elettricità . In un mondo con una disponibilità  di suolo sempre più ridotta, le coltivazioni dedicate a impieghi energetici non sono in grado di competere con il solare e tanto meno con l’eolico, considerata la sua maggiore efficienza per unità  di superficie.83

Nelle industrie dei prodotti forestali, incluse le segherie e le cartiere, i rifiuti sono usati da tempo per generare elettricità . Le imprese americane bruciano gli scarti del legno sia per produrre calore utilizzato nelle proprie attività , sia per generare elettricità  da vendere alle aziende elettriche locali. Negli Stati Uniti, quasi 11 mila megawatt di elettricità  di origine vegetale proviene principalmente dalla combustione di scarti forestali.84

Gli scarti del legno sono anche usati nelle aree urbane per la cogenerazione di energia e calore, distribuito attraverso sistemi di teleriscaldamento. In Svezia, quasi la metà  degli edifici residenziali e commerciali è collegata alla rete di teleriscaldamento. Fino al 1980, il petrolio importato forniva più del 90% del calore per questi impianti, ma al 2007 era stato quasi interamente rimpiazzato da trucioli di legno e rifiuti urbani.85

Negli Stati Uniti, St. Paul, nel Minnesota (una città  di circa 275 mila abitanti) ha iniziato a sviluppare il teleriscaldamento più di 20 anni fa. Venne costruito un impianto combinato per energia e calore che utilizzava rifiuti provenienti dagli alberi dei parchi della città , scarti dell’industria del legno e cellulosa da altre fonti. L’impianto, che utilizza 250 mila tonnellate di scarti lignei l’anno, ora fornisce il teleriscaldamento a circa l’80% del centro della città , pari a quasi due chilometri quadrati di spazi residenziali e commerciali. Questo passaggio agli scarti lignei ha in gran parte sostituito il carbone, riducendo al contempo le emissioni di anidride carbonica di 76 mila tonnellate l’anno, smaltendo i rifiuti del legno e fornendo una fonte sostenibile di calore ed elettricità .86

Oglethorpe Power, un grosso gruppo fornitore di servizi nello stato della Georgia, ha annunciato un progetto di costruzione di alcune centrali (massimo tre) a biomassa da 100 megawatt ognuna. Il combustibile principale sarà  legno in trucioli, scarti di segheria, residui di legno e altri scarti provenienti dalla manutenzione delle foreste e, quando disponibili, noccioli di pecan e gusci di arachide.87

L’industria dello zucchero ha recentemente iniziato a bruciare i suoi residui per cogenerare calore ed energia. Questa iniziativa ha ricevuto un grosso impulso in Brasile, quando le distillerie di etanolo a base di canna da zucchero hanno realizzato che bruciare la bagassa, il residuo fibroso della spremitura della canna da zucchero, permette di produrre calore per il processo di fermentazione e contemporaneamente di generare elettricità , che può essere rivenduta alle compagnie elettriche locali. Questo sistema, ben collaudato dall’industria dell’etanolo brasiliana, si sta diffondendo agli zuccherifici degli altri paesi che producono il restante 80% dello zucchero mondiale.88

Nelle città , una volta raccolti i materiali riciclabili, i rifiuti possono essere inceneriti per produrre calore ed energia. In Europa, gli inceneritori forniscono calore a 20 milioni di utenti. La Germania (che possiede 67 di questi impianti) e la Francia (con 128 impianti) sono i leader europei. Negli Stati Uniti, una novantina di impianti convertono 20 milioni di tonnellate di rifiuti in energia per 6 milioni di consumatori. Tuttavia sarebbe più vantaggioso puntare sul modello “rifiuti zero” in cui l’energia contenuta nella carta, nel cartone, nella plastica e negli altri materiali combustibili venga in gran parte recuperata con il riciclo, dato che bruciare la spazzatura non è un modo intelligente per gestire il problema dei rifiuti.89

Fino a che non si realizzerà  l’obiettivo dei rifiuti zero, però, il metano (gas naturale) prodotto nelle discariche esistenti quando la frazione organica dei rifiuti si decompone può essere raccolto per produrre calore per i processi industriali o per generare elettricità  in impianti combinati termoelettrici. L’impianto da 35 megawatt, alimentato dai gas di discarica, progettato dalla Puget Sound Energy e destinato a ricavare metano dalla discarica di Seattle, si aggiungerà  agli altri impianti simili, più di 100, attivi negli Stati Uniti.90

Interface (il principale produttore mondiale di moquette industriali, con base vicino ad atlanta, in Georgia) ha convinto la città  a investire 3 milioni di dollari per catturare il biogas dalla discarica municipale e a costruire una condotta di 15 chilometri fino a un suo stabilimento. Il metano di questa condotta, che costa il 30% in meno rispetto al prezzo di mercato, soddisfa il 20% del fabbisogno della fabbrica. La discarica è progettata per fornire metano per 40 anni, facendo guadagnare alla città  35 milioni di dollari rispetto ai 3 milioni di investimento iniziale, oltre ad alleggerire i costi operativi di Interface.91

Come già  discusso nel capitolo 2, anche le colture agricole possono essere usate per produrre carburanti per veicoli, tra cui l’etanolo e il biodiesel. Nel 2009 sono stati prodotti nel mondo 50 miliardi di litri di bioetanolo e 8,7 miliardi di litri di biodiesel. Metà  dell’etanolo è stato prodotto dagli Stati Uniti, un terzo dal Brasile e il rimanente da una dozzina di altri paesi, in testa Cina e Canada. Germania e Francia sono responsabili, ognuna, del 15% della produzione di biodiesel mondiale; gli altri maggiori produttori sono Stati Uniti, Brasile e Italia.92

I biocombustibili, che per un certo periodo sono stati considerati come la vera alternativa al petrolio, negli ultimi anni sono stati messi sotto esame in seguito ai dubbi emersi sulla loro effettiva sostenibilità . Negli Stati Uniti, che hanno superato il Brasile nella produzione di etanolo nel 2005, il raddoppio della produzione tra il 2007 e il 2008 ha contribuito a spingere il prezzo mondiale dei generi alimentari a livelli mai raggiunti in passato.

In Europa, che ha fissato obiettivi ambiziosi per l’uso del biodiesel e nel contempo possiede un ridotto potenziale di espansione per la produzione di oli di semi, le raffinerie che producono biodiesel si stanno spostando all’uso di olio di palma proveniente da Malesia e Indonesia, incentivando la distruzione della foresta pluviale per fare spazio alle piantagioni di palma.93

In un mondo in cui non c’è quasi più terreno a disposizione per le coltivazioni alimentari, ogni ettaro coltivato a mais destinato a etanolo comporta che un altro ettaro deve essere reso disponibile altrove per la produzione di generi alimentari. Uno studio dell’inizio del 2008 condotto da Tim Searchinger, della Princeton University, pubblicato su Science, ha usato un modello agricolo globale per dimostrare che, prendendo in considerazione la deforestazione tropicale, la produzione statunitense di biocarburanti ha aumentato decisamente le emissioni annuali di gas serra invece di ridurle, al contrario di quanto affermato da altri studi basati su un modello più ristretto.94
Un altro studio pubblicato da Science, questa volta da un gruppo dell’University of Minnesota, ha raggiunto conclusioni simili. Concentrandosi sulle emissioni di carbonio collegate alla deforestazione tropicale ha dimostrato che la conversione delle foreste pluviali e delle praterie alla produzione di biocombustibile da mais, soia od olio di palma, ha portato a un aumento delle emissioni di carbonio almeno 37 volte maggiore rispetto alla riduzione di gas serra risultante dal passaggio dai combustibili fossili ai biocarburanti.95

Il sostegno ai biocarburanti si è ulteriormente indebolito quando il gruppo guidato da Paul Crutzen, chimico presso il Max Planck Institute for Chemistry in Germania e vincitore di un premio Nobel, ha presentato i risultati di uno studio sulle emissioni di protossido d’azoto. Questo potente gas serra, proveniente dai fertilizzanti sintetici azotati utilizzati nella coltivazione di colture quali mais e colza per la produzione di biocombustibile, può annullare ogni riduzione di emissioni di CO2 derivante dalla sostituzione dei combustibili fossili con i biocombustibili, rendendoli una minaccia per la stabilità  climatica. Anche se l’industria dell’etanolo negli Stati Uniti ha rifiutato queste conclusioni, i risultati sono stati confermati in un rapporto del 2009 dell’International Council for Science, una federazione internazionale di associazioni scientifiche.96

Più aumentano le ricerche sui biocarburanti liquidi, meno essi risultano sostenibili. Oggi la produzione di bioetanolo si basa quasi completamente sulla canna da zucchero e sull’amido, ma si sta cercando di sviluppare tecnologie efficienti per convertire i materiali cellulosici. Diversi studi indicano che le sterpaglie e i pioppi ibridi potrebbero fornire una resa relativamente buona di etanolo su terreni marginali, ma non esiste una tecnologia a basso costo in grado di sintetizzarlo a partire dalla cellulosa che sia disponibile da subito o entro tempi brevi.97

Un terzo rapporto pubblicato da Science indica che bruciare raccolti di cellulosa per generare direttamente elettricità  destinata a veicoli elettrici è molto più efficiente che convertirli in combustibili liquidi poiché permette di percorrere l’81% in più di chilometri.

La domanda è quanto i materiali vegetali possano contribuire alla fornitura energetica mondiale. Basandoci su uno studio del Departments of Energy and Agriculture statunitense stimiamo che gli Stati Uniti potrebbero sviluppare più di 40 gigawatt di capacità  elettricità  entro il 2020 dalla combustione di rifiuti lignei provenienti da boschi e parchi urbani, oltre a residui di arbusti e alberi a rapida crescita messi a dimora su terreni non agricoli, circa quattro volte il valore attuale. Prevediamo che l’uso mondiale di biomassa per generare elettricità  potrebbe contribuire al Piano B con 200 gigawatt entro il 2020.98

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