PIANO B 4.0 | 8.1 Proteggere e ripristinare le foreste


Dal 1990 a oggi il manto forestale terrestre è diminuito di più di 7 milioni di ettari all’anno, con una perdita annuale di 13 milioni di ettari nei paesi emergenti e una ripresa di quasi 6 milioni di ettari nei paesi industrializzati. La tutela dei circa 4 miliardi di ettari di foreste attualmente esistenti e il ripristino di quelle che sono andate perdute, sono entrambi interventi fondamentali per ristabilire la salute del pianeta, un’importante base di partenza per un nuovo modello economico.

Inondazioni ed erosioni del suolo sono collegate al deflusso troppo rapido delle acque piovane; migliorando il manto forestale e diminuendone lo sfruttamento si facilitano sia il riciclo idrico in atmosfera necessario al verificarsi delle precipitazioni nell’entroterra, sia il ripristino delle riserve idriche sotterranee.3

In tutte le nazioni esistono grandi potenzialità  di diminuzione della domanda di prodotti forestali perché sia portata a livelli sostenibili: nei paesi industrializzati è necessario ridurre la quantità  di legno usato per produrre la carta; nei paesi in via di sviluppo occorre diminuire l’impiego di legna da ardere. La carta, forse più di ogni altro prodotto, riflette la mentalità  usa e getta che si è diffusa durante il secolo scorso.

Vi sono ampie possibilità di ridurre l’uso della carta, semplicemente sostituendo fazzoletti, tovaglioli, pannolini e sacchetti della spesa con analoghi prodotti riutilizzabili in tessuto. Prima di tutto serve diminuire l’uso della carta, poi occorre riciclarne il più possibile. Fra i dieci paesi principali produttori di carta, i tassi di riciclaggio variano molto: il Canada e la Cina sono agli ultimi posti, riciclano infatti poco più di un terzo della carta che usano; il Giappone e la Germania sono ai primi posti della classifica, entrambi con il 70% di carta riciclata, nonché la Corea del Sud con uno sbalorditivo 85%. Gli Stati Uniti, i principali consumatori di carta al mondo, sono molto lontani dai primi posti della classifica, ma hanno aumentato la percentuale di riciclaggio dal 25% dei primi anni Ottanta al 55% del 2007. Se ogni paese riciclasse tanto quanto la Corea del Sud, per produrre carta occorrerebbe un terzo in meno della polpa di legno che si usa oggi.4

La domanda più alta di legna viene dalla richiesta di combustibile, responsabile di oltre il 50% del legname sottratto alle foreste. Alcune organizzazioni internazionali di assistenza ai paesi in via di sviluppo, compresa l’Agency for International Development (AID), sponsorizzano progetti per l’utilizzo efficiente di legna da ardere. Uno dei più promettenti progetti dell’AID è la distribuzione in Kenia di 780 mila stufe a legna da cucina altamente efficienti, che non solo richiedono molto meno combustibile di una stufa tradizionale, ma inquinano in misura minore.5

Sempre in Kenia è stato avviato un progetto sponsorizzato dalla Solar Cookers International che produce cucine solari economiche costruite con cartone e fogli di alluminio, del costo di 10 dollari l’una. In meno di due ore di sole si prepara un pasto completo, risparmiando sia la legna da ardere sia i lunghi tragitti che le donne sono costrette a fare per raccoglierla. Queste cucine possono essere utilizzate anche per pastorizzare l’acqua e quindi per salvare vite umane.6

Sul lungo termine lo sviluppo di fonti energetiche alternative sarà  la vera chiave per ridurre lo sfruttamento delle foreste nei paesi in via di sviluppo. Cucine a pannelli solari o piastre elettriche alimentate da fonti eoliche, geotermiche, o solari a concentrazione, ridurranno l’impatto sulle foreste.

Malgrado l’alto valore ecologico ed economico delle foreste intatte, soltanto 290 milioni circa di ettari di aree forestali sono protetti legalmente dallo sfruttamento. Altri 1.400 milioni di ettari non sono economicamente convenienti da tagliare perché inaccessibili geograficamente o per lo scarso valore del legname. Pertanto della rimanente area forestale non protetta, ci sono 665 milioni di ettari virtualmente inesplorati e circa 900 milioni di ettari in stato semi vergine e non coltivati.7

Esistono fondamentalmente due approcci al taglio degli alberi. Uno è l’abbattimento totale (clear-cutting). Questa pratica, spesso la preferita dalle compagnie del legname, ha un impatto ambientale devastante poiché causa erosione del suolo e melmosità  nei corsi d’acqua, nei fiumi e nei fondali delle riserve idriche destinate all’irrigazione. L’alternativa è quella di tagliare soltanto alberi maturi selezionati, lasciando così la foresta intatta. Ciò consente di mantenere inalterata nel tempo la produttività  della foresta.

Di recente la Banca Mondiale ha iniziato a valutare in modo sistematico le sovvenzioni ai progetti di silvicoltura sostenibile. Dal 1997 la Banca ha costituito con il WWF l’Alliance for Forest Conservation and Sustainable Use che, da allora fino alla fine del 2005, ha contribuito a creare 56 milioni di ettari di nuove aree forestali protette e ha certificato 32 milioni di ettari di foreste da taglio sostenibile. Nel 2005 l’organizzazione ha dichiarato che si era data l’obiettivo di ridurre a zero la deforestazione globale entro il 2020.8

Molti programmi di certificazione dei prodotti forestali consentono ai consumatori ecologicamente responsabili di conoscere le pratiche di gestione applicate nelle aree di provenienza del legname. Il più rigoroso programma internazionale, certificato da un gruppo di organizzazioni non governative, è il Forest Stewardship Council (FSC), che garantisce la gestione sostenibile di circa 114 milioni di ettari in 82 nazioni. Tra i paesi leader troviamo il Canada con 27 milioni di ettari certificati, seguito da Russia, Stati Uniti, Svezia, Polonia e Brasile.9

Le piantagioni di alberi da taglio riducono lo sfruttamento delle foreste primarie a patto che non vadano a sostituire aree di alberi a crescita lenta. Dal 2005 sono stati censiti nel mondo 205 milioni di ettari di piantagioni di alberi da taglio, pari a quasi un terzo delle aree seminate a cereali (700 milioni di ettari). Tali alberi forniscono per lo più la materia prima utilizzata per la carta e per il legno “ricostituito” (pannelli in fibra di legno rilavorata per diverse applicazioni). Il legno ricostituito è impiegato con sempre maggior frequenza al posto del legno naturale poiché l’industria si è adattata alla minore disponibilità  di grandi tronchi provenienti da foreste naturali.10

La produzione di legname sotto forma di tronchi è stimata in circa 432 milioni di metri cubi all’anno, corrispondenti al 12% della produzione mondiale di legno. Il 60% delle aree destinate a piantagione di alberi da taglio è localizzato in sei nazioni: la Cina, dove sopravvivono poche foreste vergini, è il paese che ha la maggiore estensione di piantagioni, più di 54 milioni di ettari; l’India e gli Stati Uniti seguono con 17 milioni di ettari ciascuno. Seguono a distanza ravvicinata la Russia, il Canada e la Svezia. Più l’attività  di riforestazione si espande, più tende a muoversi verso i tropici, zone geograficamente più piovose. Al contrario delle colture cerealicole, che sono più produttive a mano a mano che ci si allontana dall’equatore, grazie alle giornate estive più lunghe, la produttività  delle piantagioni arboree aumenta avvicinandosi all’equatore dove le condizioni di crescita sono stabili tutto l’anno.11

Nel Canada orientale, per esempio, la produzione media di un ettaro coltivato ad alberi è di 4 metri cubi di legna all’anno. Nel sud-est degli Stati Uniti, la produttività  annuale è di 10 metri cubi per ettaro. Ma in Brasile, le piantagioni più giovani possono arrivare a fornire ogni anno fino a 40 metri cubi per ettaro. In pratica, mentre il rendimento dei raccolti di mais degli Stati Uniti è circa tre volte superiore a quello del Brasile, la produttività  del legno è superiore in Brasile in un rapporto di quasi quattro a uno.12

Le piantagioni arboree talvolta possono essere avviate con profitto su terreni precedentemente deforestati e degradati, ma è anche possibile che crescano a spese di una foresta preesistente. Inoltre sussiste competizione con l’agricoltura, poiché i terreni adatti alla coltivazione alimentare sono anche idonei alla crescita di alberi. Un altro limite è dato dalla scarsità  idrica, dove le piantagioni arboree a crescita rapida hanno invece bisogno di abbondante umidità .

Tuttavia la FAO ha stimato che con l’espansione delle aree destinate a piantagioni arboree e l’aumento della produttività , il raccolto potrebbe più che raddoppiare nei prossimi trent’anni. è corretto pensare che le piantagioni possano un giorno arrivare a soddisfare la gran parte della richiesta mondiale di legname industriale, proteggendo quindi le foreste residue.13

Tradizionalmente, nei paesi industrializzati, alcuni terreni agricoli soggetti a gravi fenomeni di erosione venivano riforestati sfruttando la ricrescita naturale. Così accadde ad esempio nel New England, negli Stati Uniti: questa regione impervia fu uno dei primi insediamenti europei e venne disboscata precocemente; il suolo s’impoverì e il terreno roccioso, scosceso e vulnerabile all’erosione divenne improduttivo. Nel XIX secolo, quando nel Midwest e nelle Grandi Pianure presero il via attività  agricole ad alto rendimento, diminuirono le pressioni sui territori del New England, permettendo alle foreste di riappropriarsi di molti terreni. L’area boschiva si è infatti estesa dai valori minimi di due secoli fa, quando era pari a circa un terzo del territorio, all’attuale 80%, recuperando lentamente l’equilibrio naturale e la biodiversità .14
Oggi si sta verificando una situazione analoga in alcune regioni dell’ex Unione Sovietica e in molti paesi dell’Europa orientale dopo che, all’inizio degli anni Novanta, la pianificazione statale è stata sostituita dal libero mercato agricolo e i territori periferici non redditizi sono stati abbandonati. E difficile fare delle valutazioni precise, ma la foresta sta di nuovo tornando a crescere su milioni di ettari di terreno agricolo di scarsa qualità .15

La Corea del Sud è, sotto molti aspetti, un modello di riforestazione per il resto del mondo. Alla fine della guerra, mezzo secolo fa, le regioni montuose furono in gran parte deforestate, ma dal 1960, sotto la leadership dell’attento presidente Park Chung Hee, il governo del paese si impegnò in un grande progetto di riforestazione. Affidandosi all’istituzione di cooperative all’interno dei villaggi, centinaia di migliaia di persone vennero mobilitate per scavare fossati e costruire terrazzamenti su montagne brulle in modo da piantarvi gli alberi. Se-Kyung Chong, ricercatore presso il Korea Forest Research Institute, dichiara che “il risultato fu una sorta di miracolo, dalle lande desolate si assistette a una risurrezione dei boschi”.16

Oggi le foreste coprono il 65% del paese, un’area di circa 6 milioni di ettari. Attraversando la Corea del Sud nel 2000, notai con gioia la lussureggiante presenza di alberi su quelle stesse montagne che erano spoglie solo una generazione fa. Ciò sta a dimostrare che è possibile riforestare il pianeta!17

In Turchia, paese montuoso le cui foreste sono state abbattute nel corso dei millenni, un gruppo ambientalista di primo piano, la Turkiye Erozyona Mucadele, Agaclandirma (TEMA) ha fatto della riforestazione la sua attività  principale. Fondata da due illustri uomini d’affari turchi, Hayrettin Karuca e Nihat Gokyigit, TEMA lanciò nel 1998 la campagna “10 miliardi di ghiande” per ripristinare il manto boschivo e ridurre il deflusso troppo veloce delle acque piovane e l’erosione del suolo. Da allora sono stati piantati 850 milioni di querce da ghianda. Il programma ha anche favorito la diffusione a livello nazionale di una maggiore consapevolezza sul ruolo delle foreste.18
Reed Funk, professore di biologia vegetale alla Rutgers University, ritiene che nelle vaste aree deforestate si possano crescere miliardi di alberi che producano cibo (più che altro vari tipi di noci), combustibili e altro. Funk considera le noci come un supplemento proteico di alta qualità  per le diete povere di carne degli abitanti dei paesi in via di sviluppo.19

In Niger, negli anni Ottanta, gli agricoltori che si erano trovati a fronteggiare gravi siccità  e desertificazione cominciarono a lasciare qualche acacia nata spontaneamente nei loro campi. Crescendo, questi alberi rallentarono il vento e ridussero l’erosione del suolo. L’acacia è una leguminosa che, fissando l’azoto, arricchisce il terreno e aiuta a incrementare il rendimento dei raccolti. Durante la stagione secca le foglie e i baccelli assicurano il foraggio per il bestiame. Gli alberi inoltre forniscono legna da ardere.20
Questa scelta di lasciar crescere 20-150 piantine spontanee di acacia per ettaro, su una superficie complessiva di circa tre milioni di ettari, ha ridato nuova vita alle comunità  agricole del Niger. Presumendo che in media 40 alberi a ettaro raggiungano la maturità , arriviamo a un totale di 120 milioni di alberi. Questa metodica è stata fondamentale anche per il recupero di 250 mila ettari di terreni agricoli abbandonati. Il successo dell’operazione è da identificare nel fatto che la proprietà  degli alberi è stata trasferita dallo stato ai singoli agricoltori, attribuendo loro la responsabilità  di prendersene cura.21

Trasformare gli attuali incentivi alla costruzione delle strade per il taglio e il trasporto dei tronchi in sovvenzioni alle attività  di riforestazione aiuterebbe la protezione del manto forestale del pianeta. La Banca Mondiale avrebbe il ruolo e i mezzi necessari ad assumere la guida di un programma internazionale in grado di emulare il successo della Corea del Sud e ricoprire di boschi colline e montagne.
Inoltre la FAO e le organizzazioni di aiuto potrebbero collaborare con i singoli agricoltori nei programmi nazionali al fine di integrare la silvicoltura con le attività  agricole. Se scelti e posizionati accuratamente, gli alberi assicurano ombra, combattono l’erosione del suolo contrastando l’azione del vento e possono fissare l’azoto, limitando così l’uso dei fertilizzanti.

Tutto contribuisce ad alleggerire la pressione sulle foreste mondiali: la riduzione dell’uso della legna grazie allo sviluppo di stufe efficienti e di sistemi di cottura alternativi, il riciclo sistematico della carta e il divieto di usare prodotti usa e getta a base di cellulosa. Ma un programma di riforestazione globale ha scarse probabilità  di successo se non sarà  accompagnato dalla stabilizzazione demografica. Un approccio integrato di questo tipo, coordinato paese per paese, può rigenerare le foreste a livello mondiale.

[button size=”normal” type=”success” value=”INDIETRO” href=”https://www.indipendenzaenergetica.it/?page_id=61″] [button size=”normal” type=”success” value=”AVANTI” href=”https://www.indipendenzaenergetica.it/?page_id=65″]