PIANO B 4.0 | 8.2 Piantare alberi per contrastare l’effetto serra


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Negli ultimi tempi la riduzione delle foreste nelle regioni tropicali ha causato il rilascio in atmosfera di 2,2 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, mentre le zone boschive in espansione nelle zone temperate ne hanno assorbito 700 milioni di tonnellate. Ogni anno perciò, a causa della perdita di aree forestali, vengono rilasciate circa 1,5 miliardi di tonnellate di carbonio, che vanno a contribuire al surriscaldamento del pianeta.22

La deforestazione delle zone tropicali dell’Asia è dovuta principalmente alla aumentata domanda di legname e sempre più alla richiesta di olio di palma come biocarburante. In America Latina invece l’espansione del mercato della soia, della carne e della canna da zucchero per la produzione di bioetanolo sta deforestando l’Amazzonia. In Africa le cause principali del disboscamento sono il taglio per legna da ardere e la necessità  di disporre di nuove aree da coltivare, via via che i terreni agricoli esistenti vengono abbandonati perché degradati. Due nazioni, l’Indonesia e il Brasile, sono responsabili di più della metà  della deforestazione globale e posseggono quindi il più alto potenziale di riduzione delle emissioni legate a questa attività . La Repubblica Democratica del Congo, anch’essa ai primi posti nella lista, è uno stato in grave crisi che ha difficoltà  nella gestione delle foreste.23

Gli obiettivi del Piano B prevedono simultaneamente la fine delle attività  di deforestazione e la cattura di CO2 tramite una molteplicità  di iniziative di riforestazione e l’adozione di migliori tecniche di gestione dei terreni agricoli. Oggi la distruzione delle foreste è una delle principali cause di emissione di anidride carbonica. L’obiettivo è quello di espandere il manto forestale della Terra, piantando più alberi per assorbire il carbonio in eccesso nell’atmosfera. Benché proibire la deforestazione possa sembrare impraticabile, tre nazioni, la Thailandia, le Filippine e la Cina hanno imposto divieti totali o parziali in seguito alle devastanti inondazioni e alle frane causate dalle deforestazioni.
Nelle Filippine, ad esempio, è stato vietato il taglio degli alberi nella maggior parte dei boschi più antichi e delle foreste vergini soprattutto perché il paese è diventato molto vulnerabile alle inondazioni, alle erosioni e agli smottamenti. Una volta era una nazione ricoperta da un folto strato di foresta tropicale a legno duro, ma dopo anni di taglio indiscriminato, i prodotti e i servizi che la foresta offriva sono andati persi e le Filippine importano ora più prodotti forestali di quanti ne vendano all’estero.24

Nel 1998 in Cina, dopo le terribili conseguenze di varie settimane di alluvione continua nel bacino del fiume Yangtze, il governo notò che se la politica forestale viene esaminata non con gli occhi del singolo taglialegna, ma attraverso quelli dell’intera società , a livello economico non aveva alcun senso continuare la deforestazione. Si dichiarò che la funzione di controllo delle inondazioni svolta dagli alberi residui aveva valore triplo rispetto a quello del legname ottenuto dai tronchi tagliati. Pechino diede così il via all’inconsueta pratica di pagare i taglialegna perché diventassero piantatori di alberi.25

Anche altre nazioni che stanno disboscando grandi aree forestali si troveranno a fronteggiare gli effetti ambientali della deforestazione, inondazioni comprese. Se la foresta amazzonica continuerà  a ritirarsi, e dunque a inaridirsi, diventerà  vulnerabile agli incendi. Se dovesse scomparire, verrebbe sostituita principalmente da aree desertiche e da una macchia di vegetazione bassa e stentata. Andrebbe perduta la capacità  della foresta pluviale di riciclare l’acqua nell’entroterra del continente e nelle aree agricole meridionali e occidentali. A questo punto, una calamità  locale si trasformerebbe in poco tempo in un disastro economico mondiale, e dato che l’Amazzonia in fiamme rilascerebbe nell’atmosfera miliardi di tonnellate di CO2, anche in un disastro sotto il profilo climatico.26

Come le preoccupazioni nazionali legate alla continua deforestazione hanno eclissato gli interessi locali, così i problemi globali stanno cominciando a porre in secondo piano quelli nazionali. Dunque non sono più in ballo solo i fenomeni alluvionali che si verificano localmente. La deforestazione è fra le principali cause del surriscaldamento del pianeta, le conseguenze quindi sono lo scioglimento dei ghiacciai, le ondate di calore responsabili della riduzione dei raccolti, l’innalzamento dei livelli del mare e tutti gli altri fenomeni connessi al cambiamento climatico a livello mondiale. Di fatto la natura ha alzato la posta sulla protezione delle foreste.

Per raggiungere l’obiettivo di un livello di deforestazione nullo sarà  necessario ridurre la domanda che ora deriva dalla crescita della popolazione, dall’aumento del benessere, dalla crescente domanda di biodiesel e dal rapido incremento dell’utilizzo della carta e degli altri derivati del legno. Proteggere le foreste del pianeta significa bloccare il prima possibile l’aumento demografico. E per i popoli ricchi della Terra, responsabili della crescente domanda di carne e di soia che è causa della deforestazione del bacino amazzonico, significa scendere di livello nella catena alimentare orientandosi verso una dieta con meno carne. Per porre termine alla deforestazione potrebbe essere necessario il divieto di costruzione di nuove raffinerie di biodiesel e distillerie di etanolo.

Data l’importanza delle foreste nella regolazione climatica, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha preso in esame la possibilità  di piantare alberi e migliorare la gestione forestale come strategia per contrastare l’effetto serra. Gran parte dei vantaggi della riforestazione e della creazione di foreste ex novo si possono meglio esprimere ai tropici poiché ogni albero messo a dimora a quelle latitudini sottrae all’atmosfera in media 50 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per circa 20-50 anni, mentre un albero nelle regioni temperate si limita a 13 chilogrammi.27

Assai variabili sono le stime sulla potenzialità  della piantumazione arborea nel sequestro della CO2. Analizzando i modelli globali, l’IPCC sottolinea la estrema variabilità  dei costi: in alcuni casi si stima che la piantumazione di alberi e un miglioramento della gestione forestale potrebbero assorbire ogni anno qualcosa come 2,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2030 con una spesa (carbon price) di meno di 367 dollari per tonnellata. In altri casi si ritiene che si possano ottenere quasi due terzi di questa riduzione, all’incirca 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, con una spesa pari alla metà  di quella sopracitata. Il Piano B, che ha come termine ultimo il 2020, è una media tra le due previsioni IPCC, con lo scopo di ottenere 860 milioni di tonnellate di CO2 assorbite annualmente entro il 2020 a un costo inferiore ai 200 dollari per tonnellata di anidride carbonica.28

Per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario piantare miliardi di alberi su milioni di ettari di terreni degradati che hanno perso il manto forestale originale e su terreni agricoli marginali e pascoli abbandonati. Raggiungere il tasso di assorbimento annuo di 860 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020 significherebbe investire 17 miliardi all’anno perché si possa ottenere una spinta decisiva alla stabilizzazione climatica.

Questo progetto di riforestazione globale dovrebbe essere finanziato dai paesi industrializzati, i principali responsabili delle emissioni. A confronto con altre strategie di mitigazione, piantare alberi e fermare la deforestazione sono metodi relativamente economici e che si ripagano da soli di molte volte. Si potrebbe istituire un organismo indipendente per amministrare e monitorare questa iniziativa globale. Bisogna affrettarsi a stabilizzare il clima, per dare a questi alberi maggiori possibilità  di sopravvivenza.29

Vi sono già  molte iniziative di riforestazione in programma o in corso, ispirate da una gamma di preoccupazioni che vanno dal cambiamento climatico all’espansione dei deserti, dalla conservazione del suolo alla vivibilità  nei contesti urbani. Il premio Nobel keniota Wangari Maathai, che anni fa organizzò un’iniziativa tra le donne del suo paese e di quelli confinanti per la messa a dimora di 30 milioni di alberi, ha ispirato la Billion Tree Campaign, gestita dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP). L’obiettivo iniziale era quello di piantare un miliardo di alberi entro il 2007. Se di questi ne fosse sopravvissuta anche solo la metà , si sarebbero assorbite 5,6 milioni di tonnellate di CO2 in un anno. Una volta raggiunto questo obiettivo, l’UNEP ne trovò un altro: quello di piantare 7 miliardi di alberi entro la fine del 2009, che equivale a piantare un albero per ogni persona sulla Terra. A luglio del 2009 era già  stato superato il numero di 6,2 miliardi dei 7 promessi, con 4,1 miliardi di alberi già  messi a dimora.30

Fra i più impegnati in questa iniziativa troviamo l’Etiopia e la Turchia, ognuno con oltre 700 milioni di alberi piantati. Il Messico è saldamente al terzo posto con qualcosa come 537 milioni di alberi. Il Kenya, Cuba e l’Indonesia hanno piantato ognuno più di 100 milioni di piantine.

Alla campagna hanno partecipato anche alcuni governi di stati federati. In Brasile, lo stato del Paranà , che nel 2003 ha lanciato un’iniziativa di piantumazione di 90 milioni di alberi per risanare le proprie sponde fluviali, si è impegnato a piantare 20 milioni di alberi entro il 2007. Nell’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell’India, sono state mobilitate 600 mila persone per la messa a dimora in un solo giorno del luglio del 2007 di 10,5 milioni di alberi su terreni agricoli, nelle foreste di proprietà  statale e sui terreni delle scuole.31

Anche molte città  stanno piantando alberi. Tokyo ad esempio sta mettendo a dimora alberi e arbusti sui tetti degli edifici per raffrescare la città  e controbilanciare l’effetto provocato dalle isole di calore urbano. Washington è nella fase iniziale di un’ambiziosa campagna di ripristino delle zone d’ombra alberate.32

Un’analisi sull’utilità  della messa a dimora degli alberi nelle strade e nei parchi di cinque città  degli Stati Uniti, da Cheyenne (Wyoming) a Berkeley (California), ha concluso che, per ogni dollaro speso nella piantumazione e manutenzione di un albero, si ottengono vantaggi per la comunità  che superano i due dollari. La chioma di un albero adulto in città  ombreggia gli edifici e può abbassare la temperatura dell’aria fino a 5,5 °C e quindi contenere l’energia necessaria agli impianti di condizionamento. Nelle città  con inverni rigidi come Cheyenne, la riduzione della velocità  del vento invernale, grazie agli alberi sempreverdi, abbassa i costi di riscaldamento. Il valore immobiliare degli edifici che si affacciano su strade alberate è in genere più alto del 3-6% rispetto a quelli dove non ci sono alberi.33

Le attività  di piantumazione arborea sono solo uno dei tanti modi per sequestrare quantità  significative di anidride carbonica. Anche le tecniche migliorate di gestione agro-pastorale che incrementano il contenuto organico presente nel terreno, contribuiscono a catturare la CO2.

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