PIANO B 4.0 | 8.3 Conservare e ricostituire il suolo


La letteratura sull’erosione del suolo presenta in continuazione il riferimento alla “perdita di vegetazione protettiva”. Negli ultimi cinquant’anni anni l’uomo, con il taglio indiscriminato, il pascolo intensivo e l’aratura eccessiva, ha eliminato tanta di quella vegetazione protettiva che il pianeta sta velocemente perdendo il terreno accumulato durante il trascorrere delle ere geologiche. Per evitare il degrado del suolo e la sua desertificazione occorre tutelare la produttività  biologica dei terreni agricoli altamente erodibili con coltivazioni erbose e arboree. La Dust Bowl, l’enorme tempesta di polvere che nel 1930 minacciò di trasformare le Grandi Pianure americane in un immenso deserto, fu un’esperienza traumatica che portò cambiamenti rivoluzionari ai metodi adottati nelle tecniche colturali americane, tra le quali la messa a dimora di barriere arboree frangivento (file di alberi piantati a fianco dei campi per rallentare il vento e l’erosione del suolo) e lo strip-cropping, l’alternarsi di strisce coltivate a grano con strisce di terreno a maggese (strisce arate, ma non coltivate, nelle quali si lascia crescere una vegetazione spontanea). Lo strip-cropping consente all’umidità  di accumularsi nelle strisce a maggese, e l’alternanza della coltivazione riduce la velocità  del vento e quindi l’erosione sugli appezzamenti a riposo.34

Nel 1985 il Congresso americano, appoggiato vigorosamente dalla comunità  degli ambientalisti, ha avviato il Conservation Reserve Program (CRP) per la riduzione dell’erosione del suolo e il controllo delle sovrapproduzioni alimentari. Nel 1990 circa 14 milioni di ettari di terreni altamente erodibili risultavano coperti da vegetazione di tipo permanente ed erano garantiti da contratti decennali. In base a questo programma, gli agricoltori erano pagati per seminare erba o alberi sui suoli sfruttati. Tutto ciò, insieme all’adozione di tecniche conservative sul 37% di tutti i terreni agricoli, ha ridotto l’erosione del suolo negli Usa da 3,1 a 1,9 miliardi di tonnellate tra il 1982 e il 1997. Questo approccio offre un modello al resto del mondo.35

Un altro metodo relativamente nuovo per la conservazione del suolo è la tecnica nota come conservation tillage, che a sua volta si distingue in lavorazioni no-till e lavorazioni minimum tillage. In pratica, invece di utilizzare i metodi tradizionali di aratura, rivoltando la terra per preparare il letto di semina e quindi sradicando le erbe indesiderate con metodi meccanici, gli agricoltori semplicemente inseriscono i semi forando il terreno ancora coperto dai residui del precedente raccolto e tengono sotto controllo la vegetazione infestante con gli erbicidi. L’unico intervento nel suolo è il piccolo foro in superficie dove sono introdotti i semi, mentre il resto del terreno rimane inalterato e protetto dai residui vegetali e perciò resistente all’erosione sia dell’acqua che del vento.

Questo metodo, oltre a prevenire l’erosione del suolo, consente al terreno di trattenere l’acqua, ne aumenta i livelli di azoto e riduce i costi di aratura.36 Nel corso degli anni Novanta, sempre negli Usa, per poter accedere ad alcune forme di incentivo, agli agricoltori venne richiesto di adottare sistemi di conservazione del suolo del tipo no-till, sui terreni soggetti a erosione. Da allora i terreni no-till sono passati dai 7 milioni di ettari del 1990 ai 27 milioni di ettari del 2007. Ampiamente impiegate nella coltivazione di mais e soia, le coltivazioni no-till si sono diffuse rapidamente nell’emisfero occidentale: sono stati censiti 26 milioni di ettari in Brasile, 20 milioni in Argentina e 13 milioni in Canada. L’Australia, con 12 milioni di ettari, si aggiudica il quinto posto nella classifica dei paesi no-till.37 Una volta che gli agricoltori hanno acquisito questa tecnica, il suo uso si può diffondere rapidamente, soprattutto laddove i governi garantiscono incentivi agganciati a progetti di tutela del suolo. Rapporti recenti della FAO riportano la diffusione avvenuta negli ultimi anni della tecnica agricola no-till, in Europa, Africa e Asia.38

Una parte di queste pratiche agricole possono avere l’ulteriore effetto benefico di aumentare i livelli di azoto immagazzinato nel suolo sotto forma di materia organica. Di solito quando una pratica colturale riduce l’erosione del suolo e aumenta la resa dei raccolti, tende anche ad aumentare il contenuto d’azoto nel terreno. Fra queste pratiche vi sono il passaggio al minimum till e al no-till, l’uso più diffuso del sovescio, la restituzione al suolo di tutto il letame e di tutta la pollina, l’espansione delle aree irrigate, un ritorno all’agricoltura che combina allevamento e coltivazione e la conversione a bosco delle aree agricole marginali. Esistono anche altri approcci per fermare l’erosione del suolo e la desertificazione dei terreni agricoli. Nel luglio 2005 il governo del Marocco, in reazione a una grave siccità , ha annunciato lo stanziamento di 778 milioni di dollari per cancellare i debiti degli agricoltori e convertire le aree coltivate a cereali in frutteti e oliveti, che sono colture meno vulnerabili.39

L’Africa subsahariana fronteggia una situazione analoga con il deserto che avanza verso sud su tutta la fascia che va dalla Mauritania al Senegal, lungo la costa occidentale, per arrivare al Sudan sulla costa orientale. C’è preoccupazione per i crescenti fenomeni migratori causati dalla desertificazione. L’Unione Africana ha lanciato la “Green Wall Sahara Initiative”, un progetto che intende realizzare una barriera boschiva sahariana. Proposta da Olusegun Obasanjo quando era presidente della Nigeria, l’iniziativa prevede che vengano piantati 300 milioni di alberi su 3 milioni di ettari di territorio, lungo una fascia che si estende attraverso l’Africa. Il Senegal, che sta perdendo ogni anno 50 mila ettari di terreni produttivi, dovrebbe rappresentare il punto di ancoraggio di questo fronte verde sul confine occidentale. Il ministro dell’Ambiente senegalese Modou Fada Diagne ha dichiarato che: “Invece di aspettare che il deserto ci raggiunga, dobbiamo attaccarlo”. Da quando questa iniziativa è stata inaugurata, l’obiettivo stesso si è ampliato fino a comprendere un miglioramento della gestione del territorio grazie a pratiche quali la rotazione dei pascoli.40

Anche la Cina sta realizzando una cintura boschiva per proteggere i terreni dall’espansione del deserto del Gobi. Questo muro verde, una versione moderna della Grande Muraglia, dovrebbe estendersi per circa 4.480 chilometri, da Pechino fino alla Mongolia centrale. Inoltre la Cina sovvenziona gli agricoltori delle province minacciate dall’avanzare del deserto affinché piantino alberi sui loro terreni agricoli. L’obiettivo è ottenere zone alberate su 10 dei circa 100 milioni di ettari di terreni oggi coltivati a cereali. Sfortunatamente le recenti pressioni per l’aumento della produzione di cibo pare abbiano rallentato questa operazioni.41

Nella Mongolia centrale, gli sforzi per arrestare l’avanzata del deserto e recuperare le terre a fini produttivi sono affidati all’impianto di arbusti per stabilizzare le dune di sabbia. In alcune situazioni pecore e capre sono state bandite. Nella provincia di Helin, a sud del capoluogo di Honot, questa tecnica ha ormai stabilizzato il suolo sui primi 7.000 ettari di appezzamenti recuperati e, sulla base di questo successo, le iniziative di recupero sono aumentate.42

Nella provincia di Helin la strategia è incentrata sulla sostituzione degli allevamenti di pecore e di capre con quelli di bovini da latte. Le mucche stanno in aree recintate, vengono nutrite con i residui delle colture di mais e frumento e con un foraggio simile all’erba medica che resiste alla siccità  e che viene coltivato per evitare la desertificazione del suolo. I funzionari locali stimano che questo programma raddoppierà  le entrate di questa provincia entro il decennio.43

Per alleggerire la pressione sui pascoli, Pechino ha chiesto ai pastori di ridurre del 40% le dimensioni dei greggi di pecore e di capre. Ma nelle comunità  rurali, dove la ricchezza si misura in base al numero dei capi di bestiame e laddove gran parte delle famiglie vive nell’indigenza, questi tagli non sono accettabili, a meno che non vengano offerte fonti di sostentamento alternative, come avviene nella provincia di Helin.44

L’unica via percorribile per eliminare lo sfruttamento intensivo dei due quinti di superficie terrestre classificata a pascolo è quella di ridimensionare greggi e mandrie. Non è pericoloso solo l’eccessivo numero di capi, soprattutto di pecore e di capre, anche gli zoccoli degli animali sono dannosi perché polverizzano la crosta superficiale del terreno, che si forma grazie alle piogge e controlla naturalmente l’erosione del vento. In alcuni casi si preferisce allevare il bestiame in aree recintate, portando loro il foraggio. L’India, la cui fiorente industria lattiero-casearia ha adottato con successo questo metodo, rappresenta un modello per gli altri paesi.45

La protezione del suolo implica anche il divieto globale del taglio forestale a raso di tutti gli alberi di una zona (clearcutting), che va sostituito con tagli selettivi: ogni attività  di clearcutting comporta gravi perdite di suolo per tutto il lungo tempo necessario alla ricrescita degli alberi e pertanto una resa inferiore a ogni taglio successivo. Rigenerare le aree forestali e le zone a prato del pianeta, insieme all’applicazione delle metodiche di agricoltura conservativa, protegge il suolo dall’erosione riducendo il rischio di alluvioni e contemporaneamente assorbe anidride carbonica dall’atmosfera.

Rattan Lal, un agronomo del Carbon Management and Sequestration Center dell’Ohio State University, ha calcolato gli spettri di assorbimento della CO2 di una serie di differenti pratiche agricole. Ad esempio un uso diffuso a livello mondiale del sovescio per proteggere il suolo durante i periodi di riposo, può stoccare dai 68 ai 338 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. Secondo le stime in difetto, grazie a tutte queste pratiche si potrebbero assorbire 400 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. Calcolando il sequestro totale per tutti i metodi citati, si ottiene un potenziale di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 assorbite annualmente. Secondo le nostre previsioni, probabilmente prudenti, si stima che l’adozione di queste tecniche agronomiche e di gestione territoriale consentirebbe di assorbire 600 milioni di tonnellate di CO2.46

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