PIANO B 4.0 | Prefazione di Lester Brown


Diversi mesi fa stavo leggendo un articolo del Newsweek su clima ed energia, quando una frase mi è saltata agli occhi: “Le parole business as usual stanno cominciando ad assumere il significato di fine del mondo.”

Sebbene questa sia una conclusione che potrebbe sorprendere molti, certo non stupirà  quei ricercatori che tengono sotto osservazione le tendenze ambientali mondiali come la deforestazione, l’erosione dei suoli, il calo delle falde idriche e l’aumento delle temperature. Da diverso tempo, infatti, ci avvertono che finiremo nei guai se questi fenomeni continueranno. Era solamente poco chiaro in quale formasi sarebbero manifestati i guai.

Ora sembra di capire che l’anello debole sia il cibo, esattamente come accadde in passato per alcune antiche civiltà . Stiamo entrando in una nuova era alimentare, contraddistinta da alti prezzi del cibo, da un rapido aumento delle persone affamate e da una crescente competizione per le risorse territoriali e idriche che già  oggi ha superato i confini nazionali, dato che i paesi importatori di cibo provano ad acquisire o affittare vaste aree agricole in altri stati.
In passato, i picchi del costo dei cereali erano causati da singoli eventi (una stagione di siccità  nell’Unione Sovietica o un monsone mancato in India…) ed erano in genere compensati dal raccolto successivo. Oggi, invece, l’aumento dei costi attuale è la manifestazione di una tendenza sistemica. Tra le cause troviamo la crescita demografica, il calo delle falde idriche, l’aumento delle temperature e l’uso dei cereali per la produzione di carburanti per le automobili.
Negli scorsi decenni, quando le quotazioni dei cereali si impennavano, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti semplicemente rimetteva a coltura una parte dei terreni lasciati a riposo dai programmi di conservazione. Oggi, però, tutti questi terreni sono già  utilizzati. All’improvviso, la sicurezza alimentare è diventata una problematica estremamente complessa. La politica energetica potrebbe influenzarla in maniera più incisiva delle politiche agricole. L’eradicazione della povertà  potrebbe dipendere più dal successo dei programmi di pianificazione familiare che dall’abilità  degli agricoltori. L’incremento dell’efficienza idrica potrebbe garantire il futuro degli approvvigionamenti alimentari più di quanto possa fare una maggiore disponibilità  d’acqua per l’irrigazione.

Nel suo libro The Collapse of Complex Societies, Joseph Tainter osserva che via via che le civiltà  si evolvono aumentano progressivamente il loro grado di complessità , e in certi casi possono arrivare a punto in cui non sono più in grado di gestirla. Questa considerazione mi è venuta in mente mentre l’edizione americana di questo libro stava andando in stampa, quando ho visto il Congresso scontrarsi durante l’approvazione della proposta di legge sul clima, cavillando su quali fossero gli obiettivi da perseguire. Anche gli organismi internazionali si trovano ad affrontare la complessità . Nel momento in cui scrivo, tutti gli occhi sono puntati sulla Conferenza sul clima di Copenaghen che si terrà  a dicembre. Dal mio punto di vista, i negoziati internazionali sul clima stanno diventando obsoleti per due ragioni.

La prima è che, dato il fatto che nessun governo vuole cedere troppo agli altri, gli accordi che verranno raggiunti sugli obiettivi da perseguire per tagliare le emissioni di carbonio saranno quasi sicuramente minimi, neanche vagamente paragonabili ai massicci interventi dei quali abbiamo bisogno.

In secondo luogo, dal momento che sono necessari anni perché i paesi ratifichino questi accordi, semplicemente potrebbero arrivare fuori tempo massimo. Questo non significa che non si debba partecipare ai negoziati e impegnarsi con decisione per ottenere il massimo risultato possibile. Ma non dobbiamo affidarci a questi negoziati per salvare la civiltà.

Alcuni dei progressi più eclatanti nella stabilizzazione climatica, come il potentissimo movimento dal basso che ha portato a una moratoria di fatto alla costruzione di nuove centrali elettriche a carbone, hanno avuto poco a che fare con i negoziati internazionali. In nessun momento i leader di questo movimento hanno affermato che si sarebbero impegnati per bloccare i nuovi impianti a carbone solo se lo avessero fatto anche l’Europa, la Cina o il resto del mondo. Si sono invece mossi in maniera unilaterale, consci del fatto che se gli Stati Uniti non ridurranno velocemente le emissioni di carbonio sarà  il mondo intero a essere in pericolo.
Siamo in gara tra punti di svolta politici e punti di non ritorno naturali. Siamo in grado di tagliare le emissioni di carbonio abbastanza in fretta da salvare la calotta glaciale della Groenlandia ed evitare il conseguente innalzamento del livello del mare? Siamo in grado di chiudere le centrali a carbone abbastanza in fretta da salvare i ghiacciai himalayani e tibetani, i quali alimentano i principali fiumi e i sistemi di irrigazione dell’Asia durante la stagione arida? Saremo in grado di stabilizzare la popolazione riducendone la prolificità  prima che la natura riequilibri la demografia innalzando la mortalità?

Sul fronte climatico tutto sembra che vada accelerando. Solo qualche anno fa il ghiaccio marino estivo dell’Artico cominciava a ridursi, ma si prevedeva avrebbe resistito ancora per decenni. I rapporti più recenti indicano che potrebbe scomparire nel volgere di pochi anni.
L’ultimo report dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è stato pubblicato nel 2007, e da allora le emissioni di anidride carbonica, le temperature e il livello del mare sono cresciuti di più e più rapidamente di quanto previsto nello scenario peggiore elaborato dell’IPCC.

La buona notizia è che la transizione all’energia rinnovabile sta avvenendo a un ritmo e a una scala che non avremmo mai immaginato due anni fa. Si consideri per esempio quello che sta accadendo in Texas. Gli 8.000 megawatt di capacità  generativa eolica in produzione, i 1.000 in costruzione e molti altri in via di sviluppo forniranno più di 50.000 megawatt di energia elettrica generata dal vento (paragonabili a 50 centrali a carbone). Ciò basterà  a soddisfare le necessità  domestiche di uno stato di 24 milioni di abitanti.

La Cina, con il suo programma Wind Base, sta lavorando a sei mega campi eolici per un potenziale generativo complessivo di 105.000 megawatt, che andranno ad aggiungersi ai numerosi impianti più piccoli già  operativi e in costruzione.

Di recente, un consorzio europeo di aziende e banche di investimento ha presentato una proposta che prevede lo sviluppo di una massiccia capacità  generativa da fonte solare in Nord Africa. Complessivamente potrebbe superare i 300.000 megawatt, all’incirca tre volte la capacità  generativa elettrica della Francia.

Potremmo citare molti altri esempi. La transizione energetica dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabili si sta muovendo assai rapidamente, molto più di quanto la maggior parte delle persone riesca a rendersi conto. Negli Stati Uniti, ad esempio, la capacità  generativa eolica è cresciuta di 8.400 megawatt nel 2008, mentre quella del carbone solo di 1.400.
L’interrogativo da sciogliere non riguarda quello che si deve fare, dato che questo è piuttosto chiaro a coloro che stanno analizzando la situazione globale. La sfida è come farlo in tempo. Sfortunatamente non sappiamo quanto ne rimanga: la natura tiene il conto, ma noi non siamo in grado di vedere il suo orologio.

Il Piano B è ambizioso semplicemente perché descrive quello che c’è da fare per raddrizzare la rotta. Sarà  difficile? Senza dubbio, la posta in gioco è altissima.
Il modo di pensare che ci ha condotto in questa situazione non è certamente quello che ce ne tirerà  fuori. Abbiamo bisogno di un nuovo sistema di pensiero. Lasciatemi citare una frase dell’ambientalista Paul Hawken. Nel riconoscere le dimensioni della sfida che abbiamo davanti, ha detto; “Prima abbiamo bisogno di capire cosa fare. Poi di farlo. E solo allora ci chiederemo se era possibile”.

Lester R. Brown
Luglio 2009

Earth Policy Institute
1350 Connecticut Ave. NW
Suite 403
Washington, DC 20036

Phone: (202) 496-9290
Fax: (202) 496-9325
E-mail: epi@earthpolicy.org
Sito web: www.earthpolicy.org

Questo libro nella versione in lingua inglese può essere letto e scaricato online sul sito dell’Earth Policy Institute. I permessi di riproduzione o di diffusione di parti del manoscritto originale possono essere ottenuti da Reah Janise Kauffman dell’Earth Policy Institute. Per ulteriori informazioni sugli argomenti discussi in questo libro, consultate www.earthpolicy.org.