Scenari globali | 7.11 Le forze armate impegnate nel contrasto di nuove minacce


Un altro aspetto che va preso in considerazione è il ruolo delle forze armate. I militari non scompariranno, ma dovranno combattere contro nemici nuovi. Le minacce reali alle nazioni saranno sempre più le manifestazioni meteorologiche estreme e i danni che ne deriveranno, in qualche caso con esodi massicci di rifugiati climatici. Soldati e macchinari verranno impiegati con frequenza crescente per rimettere le cose in ordine dopo il passaggio di uragani o per portare soccorsi alle aree colpite da siccità o inondazioni. I militari aiuteranno a tenere sotto controllo le frontiere. Il combattimento reale sarà sempre più condotto con robot e droni. La visione 7.3, “Il futuro della guerra e l’avanzata dei robot”, descrive questi sviluppi.


Visione 7.3 – il futuro della guerra e l’avanzata dei robot (di Ugo Bardi)

È fin troppo facile prevedere che da qui a quarant’anni gli esseri umani occuperanno un posto marginale sui campi di battaglia. Saranno rimpiazzati da armi robotizzate, una tendenza già evidente nel crescente impiego degli UCAV (Unmanned Combat Aerial Vehicles, veicoli aerei da combattimento senza PILota). Possiamo aspettarci che il termine “unmanned weapon” (arma senza uomo) diventerà desueto come oggi è il termine “horseless carriage” (carrozza senza cavalli). Tuttavia è più difficile prevedere come le armi robotizzate entreranno nei conflitti e nella struttura della società. Le guerre del futuro potrebbero essere più frequenti, ma probabilmente anche di scala inferiore e meno distruttive. È possibile che le armi robotizzate renderanno obsoleto il concetto di stato-nazione, per rimpiazzarlo con organizzazioni simili alle corporation attuali. Questi sviluppi avverranno dapprima nei paesi ricchi con bassi livelli di corruzione e alti costi di manodopera.

Per esaminare il futuro dei conflitti bellici, possiamo avvalerci dei metodi di simulazione utilizzati nel 1972 nel rapporto I limiti dello sviluppo,1 metodi che prevedono il comportamento all’interno di un dato sistema e che descrivono più specificatamente come il sistema economico mondiale trasformi le risorse naturali in rifiuti o inquinamento.

Il settore militare fa parte del sistema industriale. Nel corso dei pochi secoli passati, questo settore valeva all’incirca il 5-10% del PIL degli stati più forti, mentre in tempo di guerra questa percentuale può salire fino al 30-40%, se non oltre.2 Durante i conflitti l’attività militare genera un’enorme quantità di sostanze inquinanti in seguito alla distruzione delle infrastrutture. Con lo sviluppo di armamenti sempre più potenti, in modo particolare quelli nucleari, il costo della guerra in termini di inquinamento può raggiungere valori diverse volte superiori all’inquinamento causato da uno stato qualsiasi.

Pertanto, mentre si prevede che il settore militare segua la dimensione dell’economia mondiale, i conflitti possono far accelerare il declino globale a causa dell’enorme quantitativo di inquinanti che generano. Una guerra nucleare potrebbe rendere reale – in modo quasi istantaneo – lo scenario più pessimistico dei Limiti dello sviluppo. Sfortunatamente, scatenare una guerra costa molto meno che bonificare i danni successivi.

La robotizzazione potrebbe fermare questi trend riducendo i costi dell’inquinamento di una guerra. Gli armamenti robotizzati sono intrinsecamente armi di precisione. Possono ridurre i danni collaterali e gli effetti inquinanti. Riguardo a ciò, i robot del XXI secolo sono enormemente migliori dell’armamento simbolo del XX secolo: la testata nucleare. Esistono inoltre altri vantaggi. I sistemi di comando e controllo attuali si basano su modelli sviluppati nel corso del XVIII e XIX secolo per convincere gli esseri umani a svolgere attività che non sono naturali. Tanto per citarne alcune: obbedire agli ordini, marciare sotto il fuoco nemico, e rimanere al proprio posto mentre si viene bombardati. Il metodo che permette di ottenere questi risultati prende il nome di “drilling”. Ma il drilling non solo è un sistema lento e costoso, ma è molto difficile che possa essere reversibile. Quindi, una volta che il combattimento è iniziato, è molto difficile convincere le persone a fermarsi. In conseguenza di questa inerzia, le guerre spesso tendono a continuare fino alla quasi completa distruzione del nemico. Viceversa, i robot non hanno bisogno di alcuna propaganda e possono essere facilmente riprogrammati, e quindi la decisione di ingaggiarli o meno in un conflitto può essere molto rapida. Se le guerre possono essere fermate con facilità non appena sia chiaro chi stia vincendo, ciò potrebbe tradursi in una grande riduzione dei danni e dell’inquinamento. 

Con l’impiego dei robot le guerre diverranno meno costose, cosa che non implica una riduzione della loro frequenza. Nuovi conflitti, anche nucleari, non possono essere esclusi, e anzi potrebbero divenire più frequenti anche di fronte a un progressivo declino del sistema industriale mondiale conseguente alla scarsità delle risorse. La guerra potrebbe diventare endemica e frammentarsi in un gran numero di micro-conflitti. E anche il basso costo della guerra potrebbe far scomparire la distinzione tra periodi di guerra e di pace. Le guerre del futuro potrebbero essere classificate come azioni di polizia contro gruppi “canaglia”. Si tratta di tendenze già in atto.

Possiamo quindi aspettarci dei cambiamenti drastici nel modo in cui le guerre verranno gestite e condotte. Gli eserciti nazionali potrebbero essere sostituiti da soggetti privati, più adatti alla gestione di armamenti robotizzati ad alta tecnologia nell’ambito di conflitti di piccola scala. Questi soggetti non sarebbero obbligati a servire un governo nazionale, ma potrebbero senza problemi vendere i loro servizi al migliore offerente, come già accade oggi. Gli stati, pertanto, potrebbero anche scomparire, dal momento che non ci sarebbe la necessità della propaganda per convincere le popolazioni a sacrificarsi in battaglia. In aggiunta, gli stati nazionali si sono evoluti con lo scopo specifico di difendere i propri confini in un’epoca nella quale la maggiore fonte di prosperità era l’agricoltura, e quindi il territorio. In epoca recente, tuttavia, le guerre sono iniziate per il controllo delle risorse minerarie (molti dei conflitti recenti sono stati correttamente denominati “guerre per il petrolio”). Potrebbe essere possibile che le strutture considerate più adatte nella gestione di guerre e risorse in queste condizioni non siano gli stati-nazione, ma qualcosa di simile alle moderne multinazionali, più efficaci forse degli stati nel reclutamento di fornitori privati di armamenti ad alta tecnologia per conflitti di piccola scala.

La riduzione della potenza distruttiva della guerra è un miglioramento rispetto alla situazione attuale. Quando i combattenti umani saranno stati rimpiazzati dai robot, la maggior parte degli esseri umani semplicemente non saranno più obiettivi interessanti, mentre i robot verranno impiegati principalmente per combattersi tra di loro. Certamente, ciò non significa che la guerra non comporterà più vittime umane; i militari e i leader politici rimarranno a rischio, e l’opzione di colpire infrastrutture civili potrebbe essere rimanere aperta. Il terrorismo, il cui scopo principale sono le azioni belliche nei confronti dei civili, potrebbe trasformarsi in un compito particolarmente adatto per i droni, che possono essere facilmente programmati per lo sterminio di specifici gruppi etnici, religiosi o politici. Dall’altro lato della medaglia, il fatto che le azioni dei droni siano registrate e tracciabili potrebbe creare una barriera al loro uso indiscriminato contro i civili, un vantaggio quando si tiene conto delle violenze, delle torture, delle razzie e di altri eccessi tipici delle truppe umane. Pertanto, persino se la guerra diventasse più frequente, non necessariamente potrebbe divenire più violenta. In realtà è già in atto la tendenza a evitare quanto più possibile danni collaterali ai civili. Questo è uno sviluppo positivo dopo l’enfasi posta sui bombardamento a tappeto nel XX secolo.

La guerra è così profondamente innestata all’interno del sistema economico globale che possiamo aspettarci che esisterà fino a che ci saranno risorse naturali per le quali competere. I robot non porteranno cambiamenti, almeno fino a che saranno controllati e programmati dagli uomini. In un futuro più distante, tuttavia, l’esperienza acquisita sul campo di battaglia darà probabilmente ai robot la capacità di agire in maniera autonoma e la possibilità di diventare qualcosa di molto differente da quello che il termine “drone” implica. Ciò non significa che i robot si ribelleranno ai loro costruttori umani, ma che potrebbe non esserci bisogno di combattenti umani. Come potrebbe svilupparsi una tale società è difficile da dire oggi. L’unica certezza è che le guerre sono tra le più imprevedibili attività umane e che il futuro sarà, come sempre, pieno di sorprese.

Ugo Bardi (italiano, nato nel 1952) insegna Chimica fisica presso l’Università di Firenze. I suoi interessi spaziano dall’esaurimento delle risorse minerali al picco del petrolio, dalle nanotecnologie alla robotica. Ha fondato la sezione italiana dell’Associazione per lo studio del picco del petrolio, della quale è stato presidente fino al 2011. Scrive sul suo blog www.cassandralegacy.blogspot.com. Il suo libro più recente è The Limits to Growth Revisited.


Le tendenze descritte nella visione 7.3 sembrano plausibili, ma credo che ci vorrà molto tempo perché diventino realtà. Nel frattempo i militari non scompariranno, ma verranno impiegati sempre più spesso per fronteggiare le conseguenze dell’inclemenza delle manifestazioni meteorologiche. Ciò che non vedremo, e me ne dispiace, è l’impiego su larga scala dei militari in un conflitto costruttivo contro le cause del cambiamento climatico. I militari rimarranno nel business della riparazione dei danni e delle attività di mitigazione preventiva. Il mondo impiega nella difesa il 2% della sua capacità produttiva, più o meno quanto necessario per risolvere il problema del cambiamento climatico. Se la capacità del settore militare fosse impiegata per incrementare l’efficienza energetica (costruendo per esempio case e automobili migliori) e per costruire impianti per la produzione di energia rinnovabile (con la messa in opera di campi eolici, pannelli solari) e per la cattura del carbonio, le emissioni di gas serra nel mondo del futuro crollerebbero precipitosamente. Servirebbe più tempo che per vincere la Seconda guerra mondiale, ma i vantaggi climatici sarebbero equiparabili alla risposta militare all’attacco di Pearl Harbor nel 1942. La visione 7.4, “Le forze militari per la sostenibilità”, ce ne illustrerà i dettagli.


Visione 7.4 – le forze militari per la sostenibilità (di John Elkington)

Eccetto alcune onorevoli eccezioni, quando la maggior parte delle persone impegnate nel campo della sostenibilità elenca i settori economici e le aziende da coinvolgere e influenzare, dimentica il complesso industriale legato all’attività militare.

Ciò è pericoloso. E non solo perché vi investiamo una gran quantità di denaro. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute,3 le spese militari globali sono infatti cresciute nel 2010 dell’1,3%, raggiungendo un record di 1.600 miliardi di dollari – pari al 2,4% del PIL mondiale. Ma sebbene questi dati rappresentino il più basso tasso di crescita dal 2001 – e un marcato rallentamento dell’aumento di spesa del 5,9% nel 2009, grazie alla crisi finanziaria – l’impatto delle spese militari sulle nostre economie e società rimane sostanzioso. Come altri settori industriali, anche quello della difesa muterà (perché sarà costretto) e si evolverà, e ciò induce a chiedersi quale sarà il ruolo dei militari nei prossimi quarant’anni.

Mi intriga molto il pensiero di vedere dove la guerra cibernetica, i sensori “smart dust”, i droni miniaturizzati e gli esoscheletri porteranno i militari, e il resto di tutti noi, da qui al 2040, ma credo che ci vorrà tempo prima che sistemi robotizzati possano rimpiazzare gli esseri umani sul campo di battaglia. Come è spesso accaduto nella storia dei conflitti, molte di queste tecnologie emergenti troveranno probabilmente nuovi campi di applicazione al di fuori del settore bellico. Entro il 2052, tuttavia, mi aspetto un interesse significativo da parte delle forze armate in una nuova area di business: il ripristino dei danni causati dai disastri naturali e la lotta a un ampio ventaglio di attività insostenibili, comprese quelle responsabili della distruzione degli asset naturali come le zone di pesca, le foreste e i bacini idrografici.

Solo un inguaribile ottimista, o una persona che crede al fato, può pensare che gli stati-nazione si disarmeranno seguendo l’esempio del Costarica. In realtà questo piccolo stato dell’America centrale può essere considerato come l’eccezione che conferma la regola. Oltre alla morte e alle tasse, l’altra certezza sono le forze armate, che nel futuro più prossimo verranno ulteriormente rinforzate per gestire le conseguenze degli stravolgimenti ambientali su larga scala.

I servizi legati alle forze armate e l’industria della difesa, per poter giocare questo nuovo ruolo in maniera legittima, dovranno sottostare a quella sorta di rivoluzione della trasparenza e della sostenibilità che di recente ha coinvolto un ampio ventaglio di settori. Si pensi per esempio alla endemica corruzione in tanta parte del mondo della difesa, o al potere dei militari che controllano paesi come l’Iran e la Cina.

L’unico generale a essere eletto presidente degli Stati Uniti nel XX secolo, Dwight D. Eisenhower, avvisò gli americani sull’inopportunità di “saccheggiare per la propria prosperità e convenienza le preziose risorse del domani” e sul rischio di sottostimare l’influenza del complesso bellico industriale: “Dobbiamo vigilare per prevenire influenze ingiustificate sui governi da parte del complesso industriale legato alle attività militari. La possibilità di una crescita di poteri arbitrari esiste oggi e ci sarà domani. Non dobbiamo mai permettere che il peso e la combinazione di questi poteri mettano a rischio la nostra libertà e il processo democratico”.4

Tra le iniziative atte a immaginare il futuro della sicurezza, della difesa e delle forze armate, attraverso lenti diverse da quelle comuni all’ala conservatrice, mi piace il lavoro dell’US Truman National Security Project. Mi trovo d’accordo con il loro modo di vedere: “Il mondo di oggi è un posto pericoloso. La nostra sicurezza è messa a rischio dai terroristi, da stati aggressivi e dalla proliferazioni di armamenti che possono causare inimmaginabili distruzioni di massa. Siamo anche di fronte a nemici meno ovvi come pandemie, governi deboli o corrotti e la diffusione di sentimenti anti-americani. La strategia dei conservatori per affrontare le sfide del domani è in bancarotta. Hanno perso opportunità cruciali. La loro retorica ci ha allontanato dalle simpatie e dal sostegno del mondo. Gli alleati dei quali avevamo bisogno per sconfiggere il terrorismo sono stati messi da parte. La pianificazione senza strategie ha indebolito il morale e le capacità dei militari. L’ideologizzazione della politica del Pentagono sta portando all’instabilità oltre frontiera, esacerbando le condizioni che ci rendono vulnerabili. La strategia dei conservatori sta rendendo il mondo meno sicuro”.5

E quello che vale per gli americani vale anche per gli altri. Se dobbiamo continuare a pagare i militari, dobbiamo essere certi che facciano quello di cui noi abbiamo bisogno. Nei prossimi decenni dobbiamo ridefinire gli scopi del sistema militare. Se avremo successo, entro il 2052, le forze armate di molti paesi si saranno specializzate nell’aiutare le proprie economie e società ad adattarsi ai disastri naturali, in modo particolare quelli causati dai cambiamenti climatici. Ciò vorrà dire ancora combattere delle guerre, affrontare le dispute sui confini e avere a che fare con i profughi, ma credo anche che guarderemo alla Croce verde di Mikhail Gorbaciov come a un’idea troppo in anticipo sui tempi.6

La rigenerazione e la conservazione degli ecosistemi (anche attraverso la geo-ingegneria) diverranno una chiave di volta dell’addestramento militare, esteso a una parte crescente delle giovani generazioni, al fine di fornire educazione, preparazione e disciplina alla popolazione. Le forze di terra saranno impegnate per proteggere la biosfera dagli assalti umani. Le forze navali verranno reimpiegate per proteggere le riserve ittiche e le aree dedicate all’itticoltura e agli allevamenti oceanici. L’aeronautica verrà utilizzata in un ventaglio di operazioni legate alla sorveglianza, con l’uso di droni biomimetici e delle future generazioni di network di sensori intelligenti.

I servizi di intelligence – inclusa la branca dell’indagine remota via satellite – si occuperanno dei reati ambientali e interverranno laddove vi sia evidenza di un nuovo reato di danno agli ecosistemi.7 La possibilità di un cattivo uso o di un abuso di questi sistemi, sul modello del “Grande Fratello”, è da prendere in considerazione, motivo per cui la trasparenza, l’assunzione di responsabilità e la condotta di sostenibilità diverranno di interesse centrale per un numero crescente di paesi.

Nel frattempo, si possono già vedere i segni di una differente impostazione in campo militare, con un numero crescente di progetti incentrati sulla riduzione delle emissioni di carbonio, dei rifiuti, delle sostanze tossiche e persino dei carburanti fossili. Si prenda per esempio la US Army’s Net Zero Initiative.8 Entro il 2030 si saranno diffuse le versioni sostenibili degli Skunk Works della Lockheed Martin9 (la Skunk Work è la divisione sperimentale della Lockheed Martin che ha garantito spazi e risorse all’innovazione più spinta, ndR). Tutto ciò non rimarrà confinato ai proiettili senza piombo o alle mine biodegradabili, ma sarà aperto al ventaglio delle tecnologie concepite per sostenere le popolazioni nel cammino verso bassi consumi energetici e una ridotta impronta ecologica. Le spade potranno essere convertite in lame per gli aratri, come è accaduto al bunker NATO trasformato in un centro dati a consumi zero.10

Importanti servizi di intelligence come la stessa CIA si stanno adattando da tempo.11 Entro il 2052, tuttavia, assisteremo all’esplosione di un interesse molto poco gradito verso le “armi ambientali”. Tutto è cominciato con le tecnologie per la formazione delle nuvole con lo scopo di causare frane a ripetizione in Vietnam e in Cambogia, e si è esteso ai tentativi di incidere lo strato di ozono.12 In seguito a questi sviluppi verranno stipulati nuovi trattati per la regolazione, lo sviluppo e l’impiego di armamenti di questo tipo.

La storia dei conflitti dimostra che ogni forma di tecnologia può essere impiegata in campo militare. La nostra sfida è arruolare i militari nel campo della sostenibilità.

John Elkington (nato in Inghilterra nel 1949) è il cofondatore dell’Environmental Data Services (ENDS, 1978), di SustainAbility (1987), e dei Volans (2008), di cui è il direttore esecutivo. Ha scritto sedici libri ed è membro di oltre 20 commissioni o comitati consultivi. Il suo blog è www.johnelkington.com/journal.


Credo che lo spostamento della capacità militare verso le “operazioni verdi”, a sostegno dei berretti blu delle forze di pace dell’Onu, avverrà molto più velocemente di quanto ci si aspetti. Sarà una manifestazione di uno dei maggiori cambiamenti non-materiali dei prossimi quarant’anni, quello della rappresentazione del nemico. Il “nemico” non sarà più un estraneo con una diversa idea di quale sia il miglior sistema di governo e la migliore religione, ma sarà il cambiamento climatico causato dall’uomo. Non sarà più qualcuno diverso da noi, sarà la nostra stessa collettività. Citando un manifesto del primo Earth Day del 1970: “Abbiamo incontrato il nemico, ed eravamo noi stessi”.13

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Traduzione Dario Tamburrano