L’impatto dello shale gas e del tight oil sull’economia degli Stati Uniti e del Canada e sui flussi energetici globali. L’edizione italiana dello studio dell’European Parliamentary Research Service che smonta il mito degli idrocarburi non convenzionali USA
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Traduzione autorizzata dall’EPRS
a cura di Erica Seidita, Maria Fernanda Piva, Dario Tamburrano
INTRODUZIONE ALLA TRADUZIONE ITALIANA
Ci chiediamo per quale motivo nelle Istituzioni Europee si continui a prendere in considerazione queste risorse come praticabili e in grado di aumentare la sicurezza energetica europea. Questo studio del Centro Ricerche dello stesso Parlamento Europeo (insieme ad altri), oltre ai rischi ambientali e sociali imputabili alle pratiche di estrazione, dimostra soprattutto l’anti-economicità dello shale gas e del gas naturale liquefatto di origine statunitense quale risorsa per la fornitura energetica ai paesi dell’Unione Europea.
Sui media mainstream e anche nella stessa Commissione ITRE (Energia, Ricerca e Industria) di cui faccio parte circolano dei veri e propri miti a proposito dello shale gas americano. Si legge spesso che, grazie al fracking, gli Stati Uniti si sono assicurati gas abbondantissimo e a buon mercato per molti decenni a venire e che l’Unione Europea potrà approfittare di questa cuccagna grazie al TTIP, il controverso trattato di libero scambio in corso di negoziazione fra USA ed UE: grazie alle importazioni via nave di gas americano, in Europa il prezzo dell’energia diminuirà e le industrie torneranno ad essere competitive.
Si tratta di miti: lo dimostra quest’analisi “Gas e petrolio non convenzionale in Nord America” effettuata dal Centro Studi del Parlamento Europeo, una fonte autorevole e soprattutto ben documentata. L’analisi è fondata sui dati ufficiali forniti dall’amministrazione statunitense e dalla IEA, l’International Energy Agency fondata dall’Ocse; mette in primo piano le cifre relative alle riserve di idrocarburi non convenzionali custodite nel sottosuolo e i costi della loro estrazione, mentre restano assolutamente sullo sfondo le (sacrosante) ragioni contro il fracking delle popolazioni locali e degli ambientalisti.
Le conclusioni derivanti da quest’approccio assolutamente oggettivo e rigoroso risultano sorprendenti per chi è abituato ad ascoltare il trionfale annuncio secondo cui la produzione di gas negli Stati Uniti sarebbe entrata in una nuova età dell’oro. In sintesi: nessuno sa quanto gas convenzionale e di scisto sia custodito nel sottosuolo americano, ma le stime più attendibili indicano che quello estraibile con le tecniche ora a disposizione basterà a coprire il fabbisogno statunitense per soli 13 anni, un lasso di tempo pertanto ben più breve dei secoli dei quali si favoleggia; effettivamente negli USA consumatori e imprese pagano il gas la metà rispetto all’Europa, ma si tratta di una cifra decisamente inferiore ai costi di estrazione dello shale gas (le ragioni hanno fondamentalmente a che fare con varie alchimie finanziarie); infine, per arrivare in Europa, il gas americano dovrebbe venire liquefatto e caricato su navi, ma negli USA le infrastrutture per liquefare il gas praticamente non esistono e liquefazione e trasporto costano molto cari. Pertanto per i consumatori europei l’arrivo del gas statunitense equivarrebbe prevedibilmente ad un rincaro del gas, mentre l’economia degli Stati Uniti trarrebbe probabilmente vantaggio dall’esportazione del gas in Europa.
L’analisi “Gas e petrolio non convenzionale in Nord America” non ha una sezione specificamente dedicata alle conseguenze di un’eventuale importazione del gas statunitense in Europa. Le informazioni però ci sono tutte, anche se bisogna andarle a cercare fra le varie sezioni dello studio che offre una panoramica a 360 gradi del fenomeno: cosa sono lo shale oil e lo shale gas, con quali tecniche vengono estratti, il loro impatto sull’economia e sui flussi energetici globali, le prospettive per il futuro.
“Vedi su Scribd “Gas e petrolio non convenzionale in Nord America by EPRS (Edizione Italiana)”