Di tanto in tanto mi piace andare a rileggere le storie di civiltà antiche che hanno attraversato una fase di declino e poi si sono estinte, nel tentativo di capire le ragioni della loro scomparsa. Molto spesso, la risposta sta nella diminuzione delle riserve alimentari. Nel caso dei Sumeri, un aumento di salinità del suolo, risultato di un errore nel sistema di irrigazione, provocò una graduale riduzione della produttività delle colture di grano e orzo, fino al declino della civiltà stessa.1
Nella civiltà Maya, l’erosione del suolo moltiplicò gli effetti di anni di siccità prolungata, causando una pressione sulle riserve alimentari e sulla civiltà nel suo complesso. In molti casi, l’erosione del suolo e la conseguente diminuzione dei raccolti segnarono l’inizio della fine.2
La nostra civiltà è forse destinata a subire la stessa sorte? Fino a poco tempo fa, non sarebbe sembrato possibile. Ho faticato ad accettare l’idea che una serie di crisi alimentari potrebbe portare al collasso la civiltà globale e globalizzata del ventunesimo secolo. Eppure i nostri ripetuti fallimenti nel tentare di arrestare i meccanismi ambientali che stanno attualmente minando la sicurezza dell’economia alimentare, mi costringono ad ammettere che, se continueremo a operare come se nulla fosse, il tracollo di questa civiltà non appare soltanto possibile, bensì probabile.
Il recente aumento del prezzo dei cereali mette in luce la gravità della situazione. Dalla metà del 2006 alla metà del 2008, i prezzi sul mercato mondiale di grano, riso, mais e soia sono praticamente triplicati, arrivando a quote record. Solo con l’arrivo della crisi economica globale, nel 2008, le quotazioni hanno cominciato a scendere, rimanendo comunque molto più alte della media storica.3
Negli ultimi cinquant’anni, il mondo ha attraversato altri momenti in cui il prezzo dei cereali ha segnato un’impennata, ma mai come oggi. Le crisi precedenti erano legate a specifici eventi: un monsone mancato in India, una severa siccità in Unione Sovietica o un’ondata di calore abbastanza intensa da danneggiare le coltivazioni nel Midwest americano. Gli aumenti erano sempre temporanei, causati da eventi meteorologici che non duravano più di una stagione e generalmente le perdite venivano recuperate nel raccolto seguente. L’anomalo balzo del prezzo dei cereali nelle annate 2006-2008 è diverso poiché è la conseguenza di una tendenza sistemica. Il che significa che ogni speranza di svincolarci dalla morsa della scarsità alimentare dipende dalla nostra capacità di intervenire sui trend di sistema che la stanno causando, tra cui l’erosione dei suoli, l’abbassamento delle falde idriche e l’aumento delle emissioni di anidride carbonica.
Mentre i prezzi del cibo crescono, aumentano anche gli affamati. Uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite è la riduzione di fame e malnutrizione. Alla metà degli anni Novanta, il numero di persone in questo stato era sceso a 825 milioni. Invece di continuare a calare, ha al contrario preso a salire, fino ad arrivare ai 915 milioni della fine del 2008, per poi toccare cifre superiori al miliardo nel 2009. Proiettando nel futuro la situazione attuale, sembra che la combinazione del previsto aumento demografico, della scelta di produrre carburante per le automobili a partire dai cereali, della scarsità di risorse idriche e di altri fattori, potrà portare il numero di chi soffre la fame a 1,2 miliardi, o più, entro il 2015.4
L’aumento del prezzo degli alimenti e l’ingrossarsi delle fila degli affamati sono tra i primi segnali che il sistema alimentare globale è ormai alle strette. In un’epoca in cui il progresso è visto come un destino ineluttabile, la recente marcia indietro in campo alimentare rappresenta un ostacolo preoccupante. Ogni giorno di più si fa strada l’ipotesi del cibo come “anello debole” della nostra civiltà, proprio come fu per le passate culture di cui oggi non ci rimangono altro che i resti archeologici.