La civiltà ha le sue fondamenta nel sottile strato superficiale di suolo che ricopre la superficie del pianeta. Questo strato, normalmente profondo intorno ai 15 centimetri, si è formato con il trascorrere di lunghe ere geologiche, quando la formazione di nuovo suolo eccedeva il naturale tasso di erosione. Ma a un certo punto nel corso del secolo scorso, quando la popolazione umana e il bestiame sono aumentati oltre un certo limite, in aree molto vaste l’erosione ha superato i ritmi della formazione di nuovo suolo.
Immagine integrativa da fonte esterna “Le rovine delle cento città morte in Siria” |
Questa non è una novità . Nel 1938 Walter Lowdermilk, un funzionario del Soil Conservation Service del Dipartimento americano per l’Agricoltura (USDA, Soil Conservation Service of the U.S. Department of Agriculture), fece un viaggio all’estero per studiare i territori che erano stati coltivati per migliaia di anni in modo da capire come le civiltà più antiche avessero affrontato l’erosione dei suoli. Egli scoprì che alcune di esse avevano gestito i propri terreni in modo da mantenerli fertili e prosperando per lunghi periodi storici. Altre avevano fallito in questo compito lasciando solo le rovine del loro illustre passato.6
In una sezione del suo articolo intitolato “The Hundred Dead Cities” (“Le cento città morte”), Lowdermilk descrisse un sito nel nord della Siria, vicino Aleppo, dove antichi edifici erano ancora in piedi come isolati rilievi, ma poggiavano sulla roccia nuda. Nel VII secolo la prosperosa regione fu invasa prima da un’armata persiana e più tardi dai nomadi del deserto arabico. Durante le invasioni, le pratiche di conservazione del terreno e dell’acqua, adottate per secoli, furono abbandonate. Lowdermilk scrive: “Qui l’erosione ha fatto il suo massimo danno (…). Se il suolo fosse rimasto, persino se le città fossero state distrutte e le popolazioni disperse, l’area avrebbe potuto essere ripopolata nuovamente e le città ricostruite, ma ormai quello che nel terreno è stato danneggiato è andato definitivamente perduto”.7
Ora, passiamo rapidamente a quello che ha accertato una missione svolta nel 2002 da un’equipe delle Nazioni Unite per studiare la situazione alimentare in Lesotho, una piccola nazione di 2 milioni di persone al centro del Sudafrica. La loro conclusione è chiarissima: “L’agricoltura in Lesotho presenta un futuro catastrofico; la produzione agricola è in declino e può cessare del tutto in ampie aree del paese se non verranno eseguiti interventi atti a contrastare l’erosione del suolo, il degrado e la perdita della sua fertilità “. Michael Grunwald riporta nel Washington Post che circa la metà dei bambini sotto i cinque anni ha uno sviluppo fisico compromesso: “Molti” egli scrive “sono troppo deboli per poter camminare fino a scuola”.8
Gli esperti dell’ONU avevano visto giusto. Negli ultimi 10 anni il raccolto di cereali in Lesotho è diminuito del 40%, di pari passo con la diminuzione della fertilità dei suoi suoli. Con una agricoltura in estrema crisi, il Lesotho dipende pesantemente dalle forniture alimentari del Programma alimentare mondiale dell’ONU, che rappresenta la sua unica ancora di salvezza.9
Nell’emisfero occidentale, Haiti, tra i primi stati in declino, era largamente autosufficiente per il proprio fabbisogno di cereali fino a 40 anni fa. Da allora ha perso le sue foreste quasi per intero e la maggior parte del suo suolo, trovandosi obbligato ad acquistare quasi la metà del grano del quale ha bisogno. Come il Lesotho, anche per Haiti il Programma alimentare mondiale rappresenta l’unica possibilità di salvezza.10
La Mongolia si trova in una situazione simile: nel corso degli ultimi 20 anni tre quarti delle sue terre produttrici di frumento sono state abbandonate e la resa dei terreni è calata di un quarto, riducendo il raccolto per un totale di quattro quinti. La Mongolia, una nazione con territorio pari a tre volte quello della Francia e con una popolazione di 2,6 milioni di persone, oggi è costretta a importare quasi il 70% del frumento.11
Che la terra sia in Lesotho, Mongolia, Haiti, o in una delle altre nazioni che stanno perdendo il proprio suolo, la salute dei popoli che ci vivono non può essere separata dalla salute del suolo stesso. Una gran parte di quel miliardo di persone che soffre la fame nel mondo, vive su suoli assottigliati dall’erosione.12
Non c’è bisogno di visitare una nazione dal suolo devastato per osservare le conseguenze di una forte erosione. Le tempeste di polvere che si formano nelle nuove zone desertificate sono registrate fedelmente dalle immagini satellitari. Il 9 gennaio 2005, la National Aeronautics and Space Administration mostrò le immagini di una grande tempesta di polvere che dall’Africa Centrale si muoveva verso ovest. Questa enorme nuvola brunastra si estendeva per 5.300 chilometri, sufficientemente grande da coprire gli Stati Uniti da costa a costa.13
Andrew Goudie, professore di geografia alla Oxford University, riporta che il numero di tempeste di polvere nel Sahara, un tempo rare, è aumentato di 10 volte nel corso degli ultimi cinquant’anni. Le nazioni africane più colpite dalla perdita di suolo per l’erosione causata dal vento sono il Niger, il Ciad, la Mauritania, la Nigeria del Nord e il Burkina Faso. In Mauritania, nell’estremo ovest del continente africano, il numero di tempeste di polvere registrate ogni anno è passato da due dei primi anni Sessanta a 80 dell’epoca attuale.14
Video integrativo da fonte esterna “La terrificante tempesta di sabbia che si è abbattuta su Khartoum in Sudan il 29 aprile 2007” Nessu servizio di previsione metereologica aveva previsto la tempesta che si è materializzata in 2 minuti ed è durata 3 ore con venti a 130 km orari |
La depressione di Bodele nel Ciad è il luogo di origine per circa 1,3 miliardi di tonnellate di terriccio trasportato dal vento, circa 10 volte di più da quando queste misurazioni presero il via nel 1947. Quasi 3 miliardi di tonnellate di terreno lasciano l’Africa ogni anno sotto forma di tempeste di polvere, sottraendone fertilità e riducendo lentamente la produttività di questo continente. Inoltre queste tempeste attraversano l’intero oceano Atlantico, depositando così tanta polvere nel Mare dei Caraibi da intorbidirne l’acqua e danneggiarne la barriera corallina.15
La popolazione cinese è ormai abituata alle tempeste di sabbia che si originano nelle zone a nord-ovest della Cina e nella Mongolia occidentale, ma anche il resto del mondo viene a conoscenza di questa catastrofe ecologica quando tempeste cariche di polvere si spostano al di fuori dei confini di questa regione. Il 18 aprile 2001, la parte occidentale degli Stati Uniti, dall’Arizona sino al confine settentrionale con il Canada, fu interamente coperta dalla polvere proveniente da un’enorme tempesta che si era formata il 5 aprile nella Cina nord-occidentale e in Mongolia. Quando lasciò la Cina misurava un’estensione di quasi 2.000 chilometri e trascinò con sé milioni di tonnellate di terreno superficiale, una risorsa che la natura impiegherà secoli a rimpiazzare.16
Quasi un anno dopo, il 12 aprile del 2002, la Corea del Sud è stata sommersa da una enorme tempesta di polvere proveniente dalla Cina che lasciò gli abitanti di Seul letteralmente senza fiato. Le scuole sono state chiuse, i voli aerei sospesi e gli ospedali obbligati a un superlavoro per curare pazienti con sintomi di soffocamento. I coreani ormai temono a tal punto il ripetersi di un tale fenomeno da aver dato il nome di “quinta stagione” alle tempeste di polvere che si verificano tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.17
Queste due tempeste di polvere, tra le dieci più grandi che finora si sono verificate in Cina, sono la dimostrazione palese della catastrofe ecologica in corso nella parte nord-occidentale del suo territorio. Il sovrasfruttamento dei pascoli ne è il principale responsabile.18
Un report dell’ambasciata degli Stati Uniti, intitolato Desert Mergers and Acquisitions (“La fusione e la formazione dei deserti”), riporta una serie di immagini satellitari dalle quali si evince che due deserti nella Cina centro-settentrionale si stanno espandendo e riunendo, sino a formarne uno più grande che si sovrappone alle province della Mongolia centrale (Nei Monggol) e del Gansu. A ovest della provincia dello Xinjiang, due aree desertiche ancora più vaste, il Taklimakan e il Kumtag, sono anch’esse in procinto di fondersi. Le autostrade che corrono attraverso queste due regioni sono regolarmente inondate da dune di sabbia.19
Anche l’erosione provocata dall’acqua dà il suo contributo al deperimento dei suoli. Questo fenomeno si rileva sia dall’interramento dei bacini idrici, sia dalle foto satellitari delle chiazze fangose che i fiumi provocano riversandosi nel mare. I due grandi invasi pakistani, i laghi Mangla e Tarbela, che raccolgono l’acqua del fiume Indo per la grande rete di irrigazione del paese, perdono ogni anno circa l’1% della loro capacità perché vengono riempiti dal fango proveniente dai propri bacini deforestati.20
L’Etiopia, una nazione montagnosa con un suolo molto soggetto all’erosione, sta perdendo quasi 2 miliardi di tonnellate di terra all’anno, trascinati via dalle piogge. Questa è una delle ragioni per cui il paese sembra essere permanentemente sull’orlo della carestia, non riuscendo mai ad accumulare abbastanza riserve di cereali tali da garantire la sicurezza alimentare.21
L’erosione dei suoli derivante dal deterioramento dei manti erbosi delle praterie è un fenomeno ampiamente diffuso. Un numero costantemente in crescita di bovini e ovini pascolano sui due quinti di quella parte della superficie terrestre che è troppo secca, troppo ripida o non abbastanza fertile da poter essere coltivata. Questa area sostenta la maggior parte dei 3,3 miliardi di bovini e ovini al mondo, tutti ruminanti con complessi sistemi digestivi che permettono loro di digerire le fibre e trasformarle in carne e latte.22
Si stima che circa 200 milioni di persone basino il loro sostentamento sulla pastorizia, accudendo bovini, pecore e capre. Poiché nelle società di tipo pastorale la maggior parte dei terreni sono gestiti collettivamente, il pascolo eccessivo è difficile da controllare, con il risultato che metà delle praterie mondiali sono degradate. Il problema è molto evidente in Africa, in Medio Oriente, in Asia Centrale e nella Cina nord-occidentale, dove la crescita del bestiame è parallela a quella della popolazione. Nel 1950 in Africa vivevano 227 milioni di persone e 273 milioni di capi di bestiame. Nel 2007 si è giunti a 965 milioni di persone e 824 milioni di capi. Poiché i bisogni del bestiame superano di oltre la metà la capacità di sostentamento delle praterie, queste ultime si stanno desertificando.23
In Nigeria, la nazione più popolosa dell’Africa, ogni anno si trasformano in deserto 351 mila ettari di terreni adibiti a pascolo o a coltura. Mentre la popolazione della Nigeria è quadruplicata dal 1950 al 2007, passando da 37 milioni a 148 milioni di persone, il numero di capi di bestiame è aumentato di 17 volte, da 6 milioni a 102 milioni. Poiché la richiesta di foraggio da parte dei 16 milioni di bovini e degli 86 milioni di ovini supera la produzione che i terreni a pascolo sono in grado di sostenere, la parte settentrionale della nazione è in via di lenta desertificazione. Se la popolazione della Nigeria dovesse continuare a crescere verso gli stimati 289 milioni di persone del 2050, questi fenomeni di deterioramento non potranno fare altro che accelerare.24
L’Iran, con 73 milioni di persone, è l’esempio delle pressioni che si trova a fronteggiare il Medio Oriente. Con 8 milioni di bovini e 79 milioni di ovini, la fonte della lana per la sua famosa industria di tappeti, le praterie del paese si stanno deteriorando a causa dell’allevamento eccessivo. Nella provincia sud-orientale di Sistan-Balochistan le tempeste di sabbia hanno sepolto 124 villaggi causandone l’abbandono. Sabbie portate dal vento hanno coperto i terreni a pascolo, affamando le mandrie e privando gli abitanti del loro sostentamento.25
Il vicino Afghanistan deve affrontare una situazione simile. Il deserto del Registan si sta spostando verso ovest, invadendo le zone agricole. Uno studio del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (U.N. Environment Programme, UNEP) riporta che “almeno 100 villaggi sono stati sommersi da sabbia e polvere trascinate dal vento”. Nel nord-ovest della nazione le dune di sabbia si stanno spostando verso le terre agricole dei lembi più alti del bacino di Amu Darya, dopo che la perdita di vegetazione stabilizzante, per la raccolta di legna da ardere e il pascolo eccessivo, ha aperto loro il cammino. Gli osservatori dell’UNEP hanno visto dune di 15 metri bloccare le strade, costringendo gli abitanti a trovare nuovi percorsi.26
La Cina sta affrontando difficoltà simili. Con la riforma economica del 1978, che ha trasferito la responsabilità della pianificazione degli allevamenti dallo stato alle famiglie degli allevatori, il governo ha perso il controllo sul numero dei capi di bestiame. Come risultato il numero di bovini, pecore e capre in Cina si è impennato. Mentre gli Stati Uniti, una nazione che ha circa le stesse quantità di pascoli, possiedono 97 milioni di bovini, la Cina ne ha poco meno di 82 milioni. Ma mentre il numero di pecore e capre degli Stati Uniti è pari a 9 milioni, la Cina ne possiede 284 milioni. Concentrata nelle province della Cina occidentale e settentrionale, questa moltitudine di ovini sta distruggendo la vegetazione che protegge il terreno. Il vento fa il resto, rimuovendo lo strato superficiale e trasformando i pascoli produttivi in deserto.27
La desertificazione della Cina potrebbe essere la più grave al mondo. Wang Tao, uno dei maggiori studiosi mondiali di deserti, riporta che dal 1950 al 1975 una media di 1.550 chilometri quadrati si trasformavano in deserto ogni anno. Alla fine del secolo scorso il fenomeno della desertificazione interessava annualmente circa 3.600 chilometri quadrati.28
La Cina è ormai in una condizione simile a un’emergenza militare. Non è soggetta all’invasione di eserciti, ma dei deserti che la privano dei suoi territori. Le aree desertiche originarie si stanno espandendo e se ne stanno formando di nuove, metaforica guerriglia che colpisce a sorpresa costringendo Pechino a combattere su più fronti. Wang Tao riporta che dal 1950 circa 24 mila villaggi nel nord e nell’ovest della Cina sono stati interamente o parzialmente abbandonati perché seppelliti dalla sabbia.29
L’erosione del suolo è frequentemente la conseguenza dell’espansione verso zone periferiche dei terreni posti a coltura, che è a sua volta spinta dalla domanda. Durante il corso dell’ultimo secolo si è assistito a un’enorme crescita delle zone coltivate in due nazioni, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, e in tutte e due i casi il risultato è stato un disastro.30
Nell’ultima parte del XIX secolo, milioni di americani si sono spostati a Ovest, stabilendosi nelle Grandi Pianure e arando vaste zone di prateria per produrre grano. Molta di questa terra, divenuta altamente erodibile una volta arata, sarebbe dovuta rimanere prateria. Questa eccessiva espansione culminò in quelle che presero il nome di Dust Bowl, gigantesche tempeste di polvere verificatesi nel corso degli anni Trenta, un periodo drammatico come raccontato nel romanzo Furore di John Steinbeck. Con un programma d’emergenza per la tutela del proprio suolo, gli Stati Uniti riportarono a prateria larghe aree di terreni erosi, adottarono la coltivazione a strisce e piantarono migliaia di chilometri di cinture protettive alberate.31
Video integrativo da fonte esterna “Le Dust Bowl degli anni ’30” |
La seconda più grande espansione dei terreni coltivati iniziò nella metà degli anni Cinquanta in Unione Sovietica. In uno sforzo estremo volto a incrementare la produzione cerealicola, i sovietici ararono un’area di prateria più grande della somma delle aree coltivate a grano di Australia e Canada. Come gli agronomi sovietici avevano previsto, il risultato fu un disastro ecologico che è culminato in un’altra Dust Bowl. Il Kazakistan, la regione dove si concentrò l’attività di aratura, ha abbandonato sin dal 1980 il 40% della terra coltivata a grano. Sulla parte rimanente, la resa è pari a un sesto di quella che si ha in Francia, che è il più grande produttore di grano dell’Europa occidentale.32
Una terza massiccia espansione di terra coltivata è attualmente in corso nel bacino del Rio delle Amazzoni e nel Cerrado, una regione simile alla savana che costeggia la parte meridionale del bacino amazzonico. La terra del Cerrado, come accadde sia negli Stati Uniti che nell’Unione Sovietica, è vulnerabile all’erosione del suolo. Questa espansione colturale sta spingendo gli allevatori di bestiame verso la foresta Amazzonica, dove gli ecologisti sono convinti che la pratica della deforestazione provocherà un altro disastro. Il giornalista Geoffrey Lean, riassumendo sull’Indipendent di Londra i risultati di un simposio scientifico brasiliano del 2006, fa notare che l’alternativa alla foresta pluviale amazzonica potrebbe esitare nel migliore dei casi in una savana secca e nella peggiore delle ipotesi in un deserto.33