PIANO B 4.0 | 2.4 I conflitti per la terra e l’acqua


Con la terra e l’acqua che diventano sempre più scarse, la competizione per queste risorse vitali si intensifica all’interno delle società , specialmente tra i ricchi e i poveri e diseredati. La diminuzione delle risorse vitali pro capite conseguente alla crescita demografica rischia di far cadere gli standard di vita di milioni di persone al di sotto del livello di sopravvivenza, portando a tensioni sociali potenzialmente ingestibili.

L’accesso alle aree coltivabili è uno dei principali motivi di tensione sociale. La crescita della popolazione mondiale ha ridotto della metà  la superficie pro capite dei terreni coltivati a grano rispetto al 1950, fino a un decimo di ettaro nel 2007, corrispondente alla metà  di un lotto edificabile in un sobborgo degli Stati Uniti. La riduzione dei terreni coltivabili non è solo una minaccia agli stili di vita, ma mina la sopravvivenza della gran parte dei paesi poveri. Le tensioni all’interno delle comunità  crescono man mano che le dimensioni degli appezzamenti si riducono al di sotto del limite necessario al sostentamento minimo.61

La zona del Sahel in Africa, con il suo altissimo tasso di sviluppo demografico, è teatro di crescenti conflitti. Nel travagliato Sudan, 2 milioni di persone sono morte e più di 4 milioni si sono spostate nel corso del lungo conflitto tra il nord musulmano e il sud cristiano. Il più recente scontro nella regione del Darfur nel Sudan occidentale, iniziato nel 2003, è il frutto della crescente tensione tra i due gruppi musulmani, tra gli allevatori di cammelli e gli agricoltori stanziali. Le truppe del governo sudanese supportano le milizie arabe nello sterminio dei contadini sudanesi di colore e nel tentativo di allontanarli dai loro territori per trasferirli nei campi profughi del vicino Ciad. Si stima che circa 300 mila persone siano state uccise nel conflitto o siano morte per fame e malattie all’interno dei campi profughi.62

Le precipitazioni piovose in diminuzione e il pascolo eccessivo sono due fenomeni che contribuiscono insieme alla distruzione delle praterie. Ma prima di questi motivi, i semi del conflitto in Sudan vanno individuati nell’aumento della popolazione che si è quadruplicata passando dai 9 milioni del 1950 ai 40 del 2007. Contemporaneamente, la popolazione bovina è cresciuta da 7 milioni a 41 milioni, con un aumento di quasi sei volte; le pecore e le capre sono passate da 14 milioni a 94 milioni, una cifra sette volte superiore. Nessun pascolo può sopportare un aumento continuo del bestiame di tale portata e rapidità .63

In Nigeria, dove 151 milioni di persone vivono ammassate in un’area non più grande del Texas, lo sfruttamento dei pascoli e l’aratura eccessiva stanno trasformando praterie e coltivazioni in aridi deserti, costringendo gli agricoltori e i pastori a una guerra per la sopravvivenza. Come ha dichiarato Somini Sengupta al New York Times nel giugno 2004, “in questi ultimi anni, con l’avanzamento del deserto, l’abbattimento degli alberi e la crescita esponenziale delle popolazioni dedite alla pastorizia e all’agricoltura, la lotta per la terra è andata intensificandosi”.64

Purtroppo, la divisione fra pastori e agricoltori spesso corrisponde anche a quella fra musulmani e cristiani. La competizione per la terra, amplificata dalle differenze di culto e dalla presenza di numerosi giovani frustrati e armati, ha creato quello che il New York Times ha descritto come un “mix infiammabile” che ha “acceso un’orgia di violenza nella fertile area centrale della Nigeria. Le chiese e le moschee sono state rase al suolo. I vicini hanno dichiarato guerra ai vicini. Le rappresaglie sono continuate fino al maggio 2004, quando il governo ha imposto delle rigide misure di emergenza”.65

Divisioni simili esistono tra i pastori e gli agricoltori del Mali settentrionale, dove, come riportato dal New York Times, “pietre e bastoni hanno lasciato spazio ai kalashnikov, non appena la desertificazione e l’incremento della popolazione hanno esacerbato la competizione tra gli agricoltori africani, in gran parte neri, e i pastori delle etnie Fulani e Tuareg. Gli animi sono infiammati da ambo le parti. La disputa, dopo tutto, è per i mezzi di sostentamento e, ancor di più, sugli stili di vita”.66

Il Ruanda è il classico esempio di come un’eccessiva spinta demografica possa tradursi in tensione politica, conflitto e dramma sociale. James Gasana, ministro dell’Agricoltura e dell’Ambiente del Ruanda dal 1990 al 1992, offre alcuni spunti di riflessione. Come presidente di una commissione nazionale sull’agricoltura nel 1990, aveva ammonito che in mancanza di “profonde trasformazioni nel settore agricolo, il Ruanda non sarebbe stato in grado di sostentare in maniera adeguata la popolazione all’attuale tasso di crescita”. Gasana aveva affermato nel 1990 che, sebbene i demografi avessero previsto un rilevante aumento della popolazione, il Ruanda non avrebbe potuto raggiungere i 10 milioni di abitanti senza che questo comportasse dei disordini a livello sociale “a meno che non si ottengano progressi importanti nell’agricoltura, così come in altri settori dell’economia”.67

L’allarme lanciato da Gasana sui possibili disordini sociali si rivelò profetico. Egli predisse anche che, con una media di sette bambini per famiglia, al momento di ereditare un piccolo appezzamento di terreno dai propri genitori, la disponibilità  di terra si sarebbe ulteriormente ridotta. Molti agricoltori si spostarono verso le montagne nel tentativo di conquistare nuovi spazi coltivabili. Nel 1989 in Ruanda quasi la metà  dei terreni destinati all’agricoltura erano posti su declivi con pendenze comprese tra i 10 e i 35 gradi, universalmente considerati incoltivabili.68

Nel 1950, la popolazione del Ruanda ammontava a 2,4 milioni. Nel 1993, si era triplicata raggiungendo i 7,5 milioni, rendendolo il paese più densamente popolato dell’Africa. Come conseguenza, incrementò anche la richiesta di legna da ardere e già  nel 1991 tale domanda era doppia rispetto al rendimento sostenibile delle foreste locali. Con la scomparsa degli alberi, la paglia e altri residui agricoli vennero usati come combustibile e la produttività  dei terreni calò a causa della ridotta presenza di materia organica.69

Un suolo che perde il suo stato di salute provoca il tracollo della popolazione che da esso dipende. Semplicemente non viene prodotto cibo in quantità  sufficienti. Si diffuse pertanto una disperazione silenziosa, come in un terreno in piena siccità  dove è sufficiente un solo fiammifero per far scoppiare un incendio. La scintilla scaturì il 6 aprile 1994, quando l’aereo che trasportava il presidente Juvenal Habyarimana, di razza Hutu, precipitò vicino alla capitale Kigali. L’incidente scatenò una rappresaglia organizzata da parte degli Hutu, che portò alla morte in soli 100 giorni di circa 800 mila persone tra i Tutsi e gli stessi Hutu moderati. In alcuni villaggi vennero sterminate intere famiglie per non lasciare superstiti che avrebbero potuto reclamare i propri terreni.70

L’Africa non rappresenta un caso isolato. In India, le tensioni fra gli indù e i musulmani sono sempre pronte a esplodere. Poiché ogni generazione fraziona ulteriormente i già  piccoli appezzamenti che ha ereditato, la richiesta di terreno è enorme. Quella d’acqua persino maggiore.

Con la nazione indiana destinata a passare dai 1,2 miliardi del 2008 ai 1,6 miliardi del 2050, sembra inevitabile un conflitto all’interno di una popolazione in continua crescita con risorse idriche sempre più ridotte. Il pericolo per l’India è quello di guerre civili al cui confronto quelle combattute in Ruanda rischiano di apparire lievi. Come sottolineato da Gasana, il rapporto tra una popolazione in crescita e il suo ecosistema è un problema di sicurezza nazionale, che può porre le basi per conflitti geografici, tribali, etnici o religiosi.71

La ripartizione delle risorse idriche tra paesi che condividono lo stesso sistema fluviale è spesso fonte di conflitti politici internazionali, in particolare dove la crescita demografica è eccessiva rispetto alla portata del fiume. Nessun altro conflitto potenziale è più preoccupante di quello nella Valle del Nilo fra l’Egitto, il Sudan e l’Etiopia. L’agricoltura dell’Egitto, dove piove raramente, dipende interamente dalle sue acque. Oggi l’Egitto usufruisce della maggior parte dell’acqua derivante dal Nilo ma, con una popolazione di 82 milioni di abitanti destinata a raggiungere i 130 milioni entro il 2050, aumenterà  la richiesta idrica e di grano. Il Sudan, con 41 milioni di residenti anche loro fortemente dipendenti dalle acque del Nilo per la produzione di cibo, raggiungerà  i 76 milioni di abitanti entro il 2050. Infine, il numero degli etiopi, la nazione che controlla l’85% delle sorgenti del fiume, si prevede che passerà  da 81 a 174 milioni. Oltre a questo, i recenti acquisti di grandi tratti di territorio del Sudan da parte di altre nazioni per scopi agricoli, aumenteranno ancor più la pressione sul Nilo.72

Poiché le acque di questo fiume sono già  scarse quando raggiungono il Mediterraneo, se il Sudan o l’Etiopia utilizzeranno maggiori quantitativi d’acqua, l’Egitto ne avrà  meno a disposizione con la conseguente difficoltà  nello sfamare altri 46 milioni di persone. Sebbene fra le tre nazioni ci sia un accordo sui diritti di sfruttamento dell’acqua, l’Etiopia ne usufruisce solo in minima parte. Considerate le aspirazioni di questa nazione per un miglior standard di vita e con le sorgenti del Nilo che rappresentano una delle sue poche risorse, l’Etiopia vorrà  sicuramente sfruttarle maggiormente.73

Spostandosi verso nord, la Turchia, la Siria e l’Iraq condividono le acque del Tigri e dell’Eufrate. La Turchia, che ne controlla le sorgenti, ha realizzato un enorme progetto per massimizzare l’irrigazione e la produzione di energia sfruttando le acque del Tigri. Sia la Siria, la cui popolazione dovrebbe crescere da 21 a 37 milioni di persone per la metà  del secolo, che l’Iraq, che si stima raddoppierà  abbondantemente la sua popolazione attuale di 30 milioni, sono allarmate poiché anche loro avranno bisogno di maggiori risorse idriche.74

Nel bacino del lago di Aral, nell’Asia centrale, esiste un difficile accordo tra cinque nazioni per l’utilizzo di due fiumi, l’Amu Darya e il Syr Darya, che sfocia nel lago. La domanda d’acqua in Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan eccede la portata dei due fiumi del 25%. Il Turkmenistan, che è il più a monte sul fiume Amu Darya, sta pianificando di aumentare ulteriormente le sue terre irrigate. Tormentata dalle insurrezioni, la regione manca della cooperazione necessaria per gestire le sue scarse risorse idriche. In cima a tutto ciò, l’Afghanistan, che controlla le sorgenti dell’Amu Darya, conta di utilizzarne una parte dell’acqua per il suo sviluppo. La geografa Sarah O’Hara, dell’Università  di Nottingham, che studia i problemi idrici della regione, dice: “Parliamo del mondo in via di sviluppo e del mondo sviluppato, ma questo è un mondo che si sta distruggendo”.75

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