PIANO B 4.0 | 3.5 Il declino del petrolio e del carbone


I cambiamenti climatici costituiscono una minaccia senza precedenti per la nostra civiltà . Una politica energetica improntata al business as usual, che non prevede decisi cambiamenti di tendenza, non è più una scelta possibile. Il punto è: siamo in grado di attuare una transizione rapida dai combustibili fossili alle energie rinnovabili? Se aspetteremo che siano i cambiamenti climatici su vasta scala a obbligarci al cambiamento, potrebbe essere troppo tardi.

Per quanto riguarda il petrolio, i limiti geologici stanno causando il declino della produzione in molti dei paesi produttori. Di pari passo all’esaurimento del petrolio emergono le preoccupazioni relative alla sicurezza nei paesi importatori, dato che gran parte della produzione avviene nella regione politicamente instabile del Golfo Persico. Per gli Stati Uniti, che importano il 60% del petrolio e la cui forza lavoro si sposta per l’88% in auto, questa non è una questione secondaria.72

Ridurre i consumi di petrolio non è affatto inverosimile. Per numerose ragioni, tra le quali il prezzo record della benzina, nel 2008 il consumo di petrolio negli Stati Uniti, che è il paese nel mondo che ne usa di più, è calato del 6%. Questa diminuzione sembra stia continuando nel 2009, mano a mano che gli automobilisti passano ai trasporti pubblici, alla bicicletta e ad automobili più efficienti.73

Le previsioni geologiche in merito al futuro degli approvvigionamenti petroliferi sono già  scritte a chiare lettere. Le scoperte di petrolio convenzionale ammontano a circa 2.000 miliardi di barili, di cui mille sono già  stati estratti. Queste cifre da sole però perdono di vista una questione fondamentale. Come fa notare l’analista Michael Klare, esperto in sicurezza internazionale, i primi mille miliardi di barili sono stati petrolio di facile estraibilità , “petrolio che si trovava sulle coste o in prossimità  di esse; vicino alla superficie o concentrato in grandi giacimenti; estratto insomma in luoghi ospitali, sicuri e facili da raggiungere”. L’altra metà , dice Klare, è petrolio difficile, “che si trova in fondo all’oceano o seppellito nelle viscere della Terra; disperso in giacimenti piccoli e difficili da scovare; che deve essere importato da zone scomode, politicamente instabili o pericolose”.74

Un’altra indicazione sul futuro della produzione di petrolio è il comportamento stesso delle maggiori compagnie petrolifere. Tanto per cominciare, la produzione totale delle otto principali compagnie indipendenti ha già  raggiunto il picco e sta diminuendo. Ciononostante, non si è assistito a grandi incrementi nell’esplorazione e nello sviluppo. Ciò suggerisce che le compagnie petrolifere siano in linea con quanto affermano i geologi petroliferi, ovvero che nel mondo intero sia stato già  scoperto il 95% di tutto il petrolio totale. “L’intero pianeta è stato già  scandagliato con metodiche di tipo sismico e tutti i dati esaminati”, afferma il geologo indipendente Colin Campbel. “Negli ultimi trent’anni le conoscenze geologiche sono migliorate immensamente ed è quindi praticamente impossibile che esistano dei giacimenti rilevanti che non siano ancora stati scoperti”.75

Matt Simmons, un importante investitore petrolifero, afferma a proposito dei nuovi giacimenti: “Abbiamo esaurito i progetti davvero promettenti. Non è una questione di soldi… se le compagnie petrolifere avessero in cantiere fantastici progetti, sarebbero là  fuori a sviluppare nuovi giacimenti petroliferi”. Walter Youngquist e A. M. Samsam Bakhtiari dell’Iranian National Oil Company hanno entrambi previsto che la produzione mondiale avrebbe raggiunto il picco nel 2007.76

Un ulteriore sistema per prevedere la produzione petrolifera consiste semplicemente nel guardare l’età  dei maggiori giacimenti. Tra i 20 più grandi mai scoperti, 18 lo furono tra il 1917 (Bolivar in Venezuela) e il 1968 (Shaybah in Arabia Saudita). Le due scoperte più recenti, Cantarell in Messico e il giacimento di Baghdad East in Iraq, furono effettuate negli anni Settanta, ma nessun’altra si è verificata in seguito. Né il bacino di Kashagan, scoperto nel Mar Caspio nel 2000, né quello del Tupi, trovato in Brasile nel 2006, due giacimenti di dimensioni comunque significative, rientrano nella lista dei primi 20 del mondo. Controbilanciare l’invecchiamento e il declino dei maggiori giacimenti petroliferi con nuove scoperte e tecnologie estrattive più avanzate è un compito che sta diventando via via sempre più difficile.77

La notizia clamorosa del 2008 è stato l’annuncio da parte della Russia, principale produttrice di petrolio negli ultimi anni, di aver raggiunto il picco produttivo nel corso degli ultimi mesi del 2007 e che quindi da allora in poi ne sarebbe conseguito un calo. I dati raccolti fino a metà  del 2009 confermano questa diminuzione, a sostegno di coloro che ritengono che sia già  stato raggiunto il picco della produzione petrolifera mondiale.78

A parte il greggio convenzionale, che può essere agevolmente pompato in superficie, grandi quantità  di petrolio sono presenti nelle sabbie bituminose e possono essere prodotte dagli scisti bituminosi. Il deposito di sabbie bituminose di Athabasca in Alberta, Canada, potrebbe racchiudere 1.800 miliardi di barili, dei quali comunque solamente circa 300 miliardi sarebbero sfruttabili. Anche il Venezuela possiede vasti depositi di petrolio super pesante, stimati in 1.200 miliardi di barili, dei quali ne sono utilizzabili forse un terzo.79

Gli scisti bituminosi presenti nelle zone degli Stati Uniti del Colorado, Wyoming e Utah, contengono grandi quantità  di kerogene, un materiale organico che può essere trasformato in petrolio e gas. Nei tardi anni Settanta, gli Stati Uniti si sono molto impegnati nello sfruttamento degli scisti bituminosi sul versante occidentale delle Montagne Rocciose in Colorado. Quando le quotazioni del petrolio calarono nel 1982, l’industria legata a questo tipo di estrazione ebbe un tracollo. L’Exxon si ritirò dal suo progetto da 5 miliardi di dollari e le altre compagnie fecero altrettanto.80

L’unico progetto che sta andando avanti è quello relativo alle sabbie bituminose nella provincia di Alberta in Canada. Iniziato nei primi anni Ottanta, nel 2008 ha prodotto 1,3 milioni di barili al giorno, sufficienti a soddisfare quasi il 7% dell’attuale fabbisogno statunitense. Il petrolio prodotto dalle sabbie bituminose non è economico e diventa redditizio solo quando il prezzo del greggio è pari a 70 dollari a barile e tra gli esperti qualcuno afferma che per stimolare nuovi investimenti in questo settore il prezzo dovrebbe raggiungere i 90 dollari al barile.81

Si va diffondendo il dubbio che l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose e dagli scisti bituminosi non sia conveniente, tenendo conto anche dei molti effetti negativi, non ultimi gli sconvolgimenti climatici. Infatti, per ricavare il petrolio dalle sabbie bituminose bisogna “cuocere” la sabbia per separarla dal greggio, con il risultato che le emissioni di anidride carbonica derivanti da questo tipo di lavorazione sono tre volte superiori a quelle dell’estrazione convenzionale. Come osserva l’analista petrolifero Richard Heinberg, “attualmente per ricavare un barile di petrolio si devono scavare due tonnellate di sabbia”. Inoltre, la quantità  d’acqua necessaria per estrarre il petrolio da sabbie o scisti bituminosi può essere davvero proibitiva, specialmente negli Stati Uniti occidentali, dove di fatto tutta l’acqua è già  riservata ad altri usi. Considerando quindi le emissioni di anidride carbonica, la richiesta idrica, l’inquinamento locale delle acque e la distruzione ambientale complessiva derivante dalla lavorazione di miliardi di tonnellate di sabbie o scisti bituminosi, la civiltà  si manterrebbe in uno stato migliore di salute se questo petrolio fosse semplicemente lasciato sotto terra.82

La diminuzione mondiale della produzione di carbone non è invece così imminente, ma qualsiasi strategia per stabilizzare il clima deve per forza porre come prioritaria la sua eliminazione graduale. Il carbone infatti, per ogni unità  di energia prodotta, rilascia il doppio delle emissioni di CO2 rispetto al gas naturale e una volta e mezza rispetto al petrolio.83

Il carbone è inoltre il combustibile più dannoso per la salute umana: il black lung disease (la silicosi) è fin troppo comune tra i minatori di carbone. Inoltre, si stima che ogni anno muoiano circa 3 milioni di persone (più di 8.000 al giorno) a causa dell’aria inquinata in gran parte dalla combustione del carbone, la quale è anche la principale fonte di inquinamento da mercurio, una potente neurotossina particolarmente dannosa per i bambini.84

Il mercurio emesso dalle ciminiere che bruciano carbone va letteralmente a ricoprire le superfici terrestri e acquatiche. Praticamente in tutti gli stati nordamericani vige l’avvertenza di non mangiare troppo pesce che arriva dalle acque dolci di laghi e corsi d’acqua a causa del contenuto pericolosamente elevato di mercurio.85

In Cina, dove il cancro è oggigiorno la principale causa di decesso, l’inquinamento da carbone è diventato un fenomeno sempre più preoccupante. Un’indagine pubblicata nel 2007, condotta dal Ministero della Sanità  in 30 città  e 78 contee, ha rivelato un’ondata crescente di casi di cancro. La popolazione di quelli che vengono soprannominati “villaggi del cancro” è letteralmente decimata da questa malattia.86 Il carbone è solo una parte del problema, ma in un paese dove si andava costruendo una nuova centrale a carbone alla settimana, rappresenta una parte statisticamente significativa. La nuova realtà  è che la Cina diventa ogni anno più ricca e più malata. La classe dirigente cinese è sempre più preoccupata non solo dall’epidemia di cancro, ma anche dal brusco aumento dei difetti congeniti. La preoccupazione per gli effetti che la combustione del carbone può avere sulla salute aiutano anche a spiegare perché la Cina stia dando grande impulso all’energia eolica e solare, tanto che prevede di diventare presto il leader mondiale in entrambi i settori.87

Un segnale dei cambiamenti in atto in Cina è arrivato quando il New York Times ha riportato, a luglio del 2009, che il Ministero per la Protezione ambientale ha temporaneamente proibito a tre delle cinque maggiori aziende produttrici di energia di costruire centrali elettriche a carbone perché non avevano rispettato le normative ambientali in quelle già  esistenti. è un’azione importante per la Cina, che non avrebbe avuto luogo senza l’approvazione dei “piani alti”.88 Inoltre, affianco all’esagerato contributo che fornisce al dissesto climatico e ai danni per la salute umana, il carbone è anche quello più facile da sostituire tra i tre combustibili fossili. Infatti, l’elettricità  è sempre tale, sia che venga prodotta da impianti a carbone, sia che provenga da parchi eolici, impianti solari o geotermici. Al contrario, sostituire il petrolio è più complicato perché è presente in maniera pervasiva nell’economia.

Il terzo dei combustibili fossili, ovvero il gas naturale, produce solo il 19% delle emissioni di CO2 provenienti da combustibili non rinnovabili. Poiché è responsabile delle emissioni di CO2 in misura molto minore rispetto al carbone e ha una combustione più pulita del petrolio, sta prendendo piede come combustibile di transizione nel periodo di passaggio dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabile. Anche il consumo di gas andrà  incontro in futuro a una riduzione, anche se questo non avverrà  così velocemente come con il carbone.89

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