La nostra civiltà , agli albori del XXI secolo, si trova ad affrontare una sfida senza precedenti nel dover simultaneamente stabilizzare il clima e la popolazione, eradicare la povertà e ripristinare gli ecosistemi naturali del pianeta. Rispondere a questi problemi sarà arduo, ma ci siamo messi con le nostre stesse mani in una situazione nella quale dobbiamo affrontare ognuna di queste singole sfide in maniera risolutiva e contemporanea, data la loro reciproca interconnessione. E la sicurezza alimentare dipende dal raggiungimento di tutti e quattro questi obiettivi. Il Piano B non prevede compromessi.
All’intensificarsi della pressione politica causata dai cambiamenti climatici e della penuria di cibo e petrolio, è in aumento il numero di stati che rischiano il tracollo. Inoltre emergono pericolosi segnali che indicano che è in via di indebolimento quel solido meccanismo di cooperazione internazionale nato dopo la seconda guerra mondiale e sul quale si è basato il progresso economico mondiale. Ad esempio, la preoccupazione per l’accesso alle risorse petrolifere ha spinto gli Stati Uniti a dirottare parte del proprio raccolto di cereali nella produzione di carburante per autotrazione, incuranti degli effetti che avrebbe avuto sul prezzo mondiale del cibo e sui consumatori con un basso reddito.
In tempi più recenti abbiamo visto come i paesi esportatori di cereali, allo schizzare in alto dei prezzi, hanno ristretto o vietato l’esportazione per tenere sotto controllo l’aumento interno dei costi dei generi alimentari, provocando così un senso di insicurezza nei paesi importatori che hanno perso fiducia nel mercato per soddisfare i propri bisogni. I più benestanti di questi hanno iniziato a comprare o a prendere in affitto enormi distese di suolo in altri paesi, molti dei quali con disponibilità limitata di terra e già provati dalla fame. Come fare per capovolgere questa tendenza che porta ogni paese a erigere barriere piuttosto che lavorare insieme per il bene comune?
Il Piano B è plasmato dalla pressante necessità di fermare l’aumento della concentrazione atmosferica di CO2, invertire la tendenza al declino della sicurezza alimentare e fare in modo che si accorci la lista degli stati in crisi. Per definire l’obiettivo climatico del taglio dell’80% entro il 2020 della quantità netta di anidride carbonica immessa in atmosfera, non ci siamo posti domande su quale sia la percentuale politicamente percorribile. Ci siamo piuttosto interrogati di quanto e quanto velocemente dobbiamo ridurre queste emissioni se vogliamo avere una possibilità ragionevole di salvare la calotta della Groenlandia ed evitare un aumento del livello dei mari politicamente destabilizzante. Quanto rapidamente dobbiamo tagliare le emissioni se vogliamo salvare almeno i ghiacciai più grandi dell’Himalaya e dell’altopiano tibetano, che funzionando da riserva di acqua permettono nella stagione arida l’irrigazione dei campi di frumento e di riso in India e Cina?
Per quel che riguarda l’energia, il nostro obiettivo è la chiusura di tutti gli impianti a carbone entro il 2020, sostituendoli in gran parte con parchi eolici. Nell’economia del Piano B il sistema dei trasporti verrà convertito alla trazione elettrica, con un massiccio passaggio sia ai veicoli ibridi plug-in, sia alle automobili mosse dalla sola trazione elettrica, sia a infrastrutture ferroviarie intercittadine ad alta velocità . Nel mondo del Piano B infine, le città sono progettate a misura d’uomo, non di automobile.
Il Piano B non è modellato su ciò che abbiamo fatto finora, ma su ciò che dobbiamo fare nel futuro. Offriamo una visione di come potrebbe essere quel futuro, elenchiamo i passaggi intermedi e una tabella di marcia per realizzarli. Il Piano B non è basato sul quel sistema di pensiero convenzionale che è lo stesso che ci ha portato ad avere questi problemi. Per uscirne è necessario un altro modo di pensare, delle nuove coordinate concettuali.
Ovviamente il Piano B è ambizioso e ad alcuni sembrerà irrealizzabile. Nel maggio del 2009 Paul Hawken, imprenditore e ambientalista, riconoscendo l’enormità della sfida che il mondo deve affrontare, ha suggerito ai laureati dell’Università di Portland: “Non lasciatevi scoraggiare da coloro che pretendono di sapere cosa non è possibile. Fate quel che è necessario fare e solo dopo che avrete finito potrete verificare se era davvero impossibile realizzarlo”.90